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Il marchio, insieme all’insegna e alla ditta, è uno dei segni distintivi dell’impresa poiché permette alla clientela di collegare facilmente i prodotti e i servizi presenti all’azienda che li offre sul mercato. Pertanto, la registrazione di un marchio è opportuna e soprattutto si rende necessaria al fine di impedire che altri soggetti, persone fisiche o entità giuridiche, possano sfruttare il medesimo simbolo, la sua notorietà e l’annessa clientela.

L’uso esclusivo può essere attribuito, a titolo esemplificativo, ad un marchio denominativo, figurativo, di forma o tridimensionale, sonoro, di movimento o multimediale. In ogni caso, per il buon esito della procedura di registrazione, il marchio deve possedere degli elementi imprescindibili quali la novità, la rappresentazione chiara e oggettiva senza però risultare descrittivo, nonché la distintività.

Una volta presentata la domanda agli uffici competenti nazionali o europei, UIBM o EUIPO, a seconda dell’area geografica sulla quale si richiede la tutela per il segno, occorrerà attendere una prima analisi sugli elementi predetti da parte dell’ente preposto e, in caso affermativo, seguirà la pubblicazione del marchio.

Sul punto ha suscitato grande interesse il rifiuto che l’EUIPO diede ad una famosa azienda di cosmetica in merito ad un marchio di forma per un rossetto, poiché ritenuto privo del carattere distintivo. Tale caratteristica infatti, come anticipato, costituisce una prerogativa per la registrazione e la relativa mancanza pregiudica e interrompe l’iter davanti agli uffici competenti.

L’azienda che si è vista negare la registrazione ha proposto in prima battuta ricorso all’EUIPO, ricevendo da parte della Commissione conferma della precedente decisione mediante un nuovo diniego alla registrazione. In seconda battuta è stato adito il Tribunale dell’Unione europea, competente in materia dei marchi di impresa sul territorio dell’Unione europea.

Quest’ultimo ha specificato che il carattere della distintività non incardina l’originalità o il “mancato uso” nel settore di riferimento dei prodotti e/o servizi, bensì esso emerge quando la forma dell’oggetto si discosta in modo significativo dalla norma o dagli usi del settore interessato.
Più incisivamente, al di là della qualità dei materiali, della bellezza e dell’attrattiva del prodotto, i giudici europei hanno sancito che è necessario che il bene per il quale è richiesta la tutela generi un effetto visivo oggettivo e non comune, ovverosia che crei un effetto insolito nella percezione del pubblico.

Nel caso specifico l’effetto creato era duplice in quanto, oltre alla forma tridimensionale ovale e oblunga che ricordava una culla o una barca, il bene aveva anche la peculiarità di dover essere posizionato non verticalmente come gli altri rossetti già presenti sul mercato, bensì orizzontalmente.

Da quanto sopra affermato, emerge con chiarezza che per la registrazione un marchio di forma occorra valutare l’incisività che quel bene, così come rappresentato e venduto, produce nella mente degli acquirenti; in tale modo gli altri beni già presenti sul mercato appaiono tra loro simili ma non differenti come il nuovo prodotto.

Per maggiori informazioni prenda contatto con lo Studio.

Lo scorso venerdì 25 gennaio 2019, l’Avv. Sergio Pasi e l’Avv. Maria Cristina Pasi sono stati invitati dalla CCIU – Camera di Commercio Italiana per l’Ungheria, partner del Budapest Business Journal, alla serata di gala per la nomina del “Best Expat CEO of the Year in Hungary” che si è tenuta presso il Corinthia Hotel di Budapest.

Il prestigioso evento, al quale tra i tanti altri erano presenti manager italiani quali il CEO Unicredit in Ungheria Marco Iannaccone e il direttore del personale Unicredit in Ungheria Andrea Tognetti, il Dott. Alessandro Farina, Managing Director del gruppo ITL e Massimiliano Di Silvestre, Amministratore di BMW, è stato diretto dal Presidente della CCIU Francesco Maria Mari.

La collaborazione dello Studio Legale Pasi con la CCIU ha ad oggetto l’assistenza nell’internazionalizzazione delle imprese italiane ed ungheresi verso i reciproci mercati di riferimento.

Per ulteriori informazioni si rimanda alla pagina dell’evento sul sito della Camera di Commercio Italiana per l’Ungheria – CCIU.

Per l’anno accademico 2017/18 il dipartimento di Management ed Economia presso l’Università degli Studi di Torino – UniTO, Corso di studio in Economia Aziendale, nell’ambito del laboratorio professionalizzante (CUAP) si è avvalso della collaborazione dell’Avv. Sergio Pasi per la realizzazione di un seminario dal titolo “La professione contabile nelle aziende: evoluzione dalla consulenza fiscale alla pianificazione”.

Il Corso si svolgerà presso la sede di Cuneo e oltre all’Avv. Sergio Pasi avrà quali docenti il Dott. Stefano Beltramone, funzionario dell’Agenzia delle Entrate di Cuneo, il Dott. Luca Bongioanni, Dottore Commercialista iscritto all’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Cuneo, e il Notaio Simone Griseri, Notaio iscritto all’Consiglio Notarile di Cuneo – Distretti riuniti di Cuneo, Alba, Mondovì e Saluzzo.

E’ prevista l’acquisizione di 3 CFU da parte degli studenti.

Per maggiori informazioni si prega di visitare la pagina del Dipartimento di Management presso UniTO o scaricare il programma.

Per l’anno accademico 2015/16 la Scuola di Management ed Economia presso l’Università degli Studi di Torino – Corso di studio in Economia Aziendale, nell’ambito del laboratorio professionalizzante (CUAP) si è avvalso della collaborazione dell’Avv. Sergio Pasi per la realizzazione di un seminario dal titolo “Credit management e credit scoring: canali informativi e modelli applicativi ”.

Il Corso si è svolto attivamente presso la sede della facoltà di Management ed Economia di Torino e ha visto l’Avv. Sergio Pasi nel ruolo di responsabile del corso e relatore. Al seminario ha partecipato altresì il Dott. Gianluca May.

Per maggiori informazioni si rimanda al programma del seminario.

Le società di capitali (SpA, SAPA, Srl e Srls) sono caratterizzate dal fatto di possedere di diritto la personalità giuridica, qualità da cui discende la cosiddetta autonomia patrimoniale perfetta. Per questo motivo, a differenza delle società di persone o delle associazioni non riconosciute, quando si costituisce una società di capitali il socio ha il vantaggio di veder scisso il proprio patrimonio personale da quello investito nella società.

L’autonomia patrimoniale perfetta, pertanto, permette al socio di essere tutelato, salvo determinati e rari casi previsti dal codice civile, dall’insolvenza della società. In questo caso infatti i creditori della società potranno rivalersi solamente sul patrimonio di quest’ultima, non potendo aggredire il patrimonio personale del socio.

Alcuni tipi di società di capitali possono ottenere nuovi finanziamenti solamente attraverso la sottoscrizione di nuove partecipazioni societarie ovvero attraverso le ordinarie modalità di finanziamento bancaria quali mutuo ovvero affidamento. Tuttavia il codice civile prevede per altri tipi di società la possibilità di emettere propri strumenti finanziari con i quali sia possibile raccogliere del capitale da parte di terzi. Verranno ora esaminati nello specifico i singoli modelli societari con le relative possibilità di ottenere nuove forme di capitale e le eventuali deroghe ai divieti imposti dal codice civile.

Le Società per Azioni

Le Società per Azioni sono quelle imprese regolate dal libro V, titolo V, capo V del codice civile (artt. 2325-2451), costituite per atto unilaterale o per contratto, per le quali il capitale sociale deve essere per legge non inferiore a € 120.000 e il cui modello societario è stato concepito per le imprese di grandi dimensioni.
Il primo patrimonio della società è costituito proprio dal capitale sociale il quale, come già anticipato, è di proprietà dell’impresa e risulta distinto dal patrimonio personale dei soci per effetto dell’autonomia patrimoniale perfetta. I soci, di conseguenza, sono titolari delle azioni della società, frazioni indivisibili del capitale sociale attribuite, di norma, in quantità proporzionale rispetto al capitale versato da ciascun socio. Parte della dottrina riteneva in passato che le azioni fossero anche il certificato azionario costituente il titolo di partecipazione all’interno della società, tuttavia il certificato è meramente eventuale. Stabilisce infatti l’art 2346 cod. civ. che lo statuto possa prevedere che il titolo non venga fisicamente emesso. In altri casi invece è la legge a prescrivere la dematerializzazione obbligatoria, basti pensare alla normativa antiriciclaggio.
L’azione ordinaria fa discendere per il possessore diritti di natura amministrativa, patrimoniale e mista. Tra questi, a titolo esemplificativo, si ricordano sicuramente, per i diritti amministrativi, il diritto di voto nelle assemblee ordinarie o straordinarie, per i diritti patrimoniali, il diritto a percepire i dividendi eventualmente deliberati dall’assemblea nel caso in cui nell’esercizio precedente il bilancio sia stato chiuso in attivo e per quelli di natura mista il diritto di recesso o il diritto di opzione.

Le azioni

Il codice civile, oltre alle ordinarie modalità tramite gli istituti bancari, prevede che le Società per Azioni abbiano ulteriori possibilità di ottenere finanziamenti da parte di terzi. L’art. 2348 cod. civ. prevede al primo comma che “le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti”. Il secondo comma tuttavia prevede la possibilità, qualora previsto dallo statuto, di creare, nei limiti imposti dalla legge, “categorie di azioni fornite di diritti diversi anche per quanto concerne la incidenza delle perdite”. In questo caso il principale limite imposto dalla legge è quello relativo al divieto del cosiddetto patto leonino che, nonostante la collocazione all’interno della disciplina della società semplice, è estensibile a tutti i modelli societari1. Tali categorie di azioni sono destinate prevalentemente agli investitori e possono essere di diversi tipi, come di seguito si analizzerà nello specifico.

Azioni postergate nelle perdite

L’articolo di cui sopra, al secondo comma, legittima espressamente l’emissione di azioni postergate nella partecipazione alle perdite, quale strumento di finanziamento della società. Un tempo tale tipo di azioni era considerato inammissibile fondamentalmente per due motivi: la violazione del patto leonino e dell’obbligo di intangibilità della partecipazione societaria. Oggi il Codice permette l’emissione di tale tipo di azioni; tuttavia occorre prevedere un meccanismo di ricapitalizzazione per evitare alterazione delle partecipazioni. La formulazione dell’articolo è chiara e non permette l’elusione del cd. patto leonino in quanto non prevede una esclusione totale di questo tipo di azioni alle perdite societarie ma prevede che queste ultime possano veder ridurre il proprio valore nominale solamente dopo la riduzione del valore delle azioni ordinarie.
Queste azioni, proprio per il fatto di subire la postergazione nelle perdite rispetto alle azioni ordinarie, vengono denominate anche privilegiate e si differenziano in azioni di priorità o azioni di preferenza. Le prime prevedono che venga elargito prima il dividendo a questo tipo di azione e solo successivamente alle azioni mentre le seconde stabiliscono che l’azionista ottenga una percentuale di dividendo maggiore rispetto alle altre azioni.

Azioni a favore dei prestatori di lavoro

L’art. 2349 cod. civ. stabilisce che, qualora previsto dallo statuto societario, l’assemblea straordinaria possa deliberare l’assegnazione di utili ai prestatori di lavoro dipendenti della società o di società controllate attraverso l’emissione di speciali categorie di azioni da assegnare individualmente ai prestatori di lavoro, per un ammontare corrispondente agli utili stessi. A seguito dell’assegnazione sarà poi necessario aumentare il capitale sociale della misura corrispondente alle azioni assegnate, derogando espressamente quanto previsto dal secondo comma dell’art. 2442 cod. civ2. Queste azioni possono essere soggette a un regime diverso dalle azioni ordinarie, anche se quasi invariabilmente non attribuiscono il diritto di voto. Il secondo comma dello stesso articolo prevede un secondo tipo di azioni “speciali” attribuite a prestatori di lavoro della società, modalità molto utilizzata nelle grandi imprese tedesche quali, ad esempio, la Volkswagen. Questa seconda ipotesi prevede, previa deliberazione da parte dell’assemblea straordinaria, l’assegnazione ai prestatori di lavoro dipendenti di strumenti finanziari, diversi dalle azioni, forniti di diritti patrimoniali o anche diritti amministrativi, escluso il diritto di voto in assemblea generale degli azionisti.

Azioni correlate

Il secondo comma dell’articolo 2350 cod. civ. recepisce un modello di azione di derivazione anglosassone (cd. “tracking share“) e stabilisce che al di fuori di quanto previsto dall’art. 2447-bis (relativo alla disciplina dei patrimoni destinati ad uno specifico affare) e seguendo i criteri individuati all’interno dello statuto, la società abbia la facoltà di emettere azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell’attività sociale in un determinato settore. Il “settore” è da intendere come concetto più ampio dello “specifico affare” richiamato dall’art. 2447-bis, potendo coincidere con una delle attività incluse nell’oggetto sociale. L’ultimo comma sancisce un limite a questo tipo di azioni, consistente nel divieto di elargire dividendi ai possessori di azioni correlate se non nei limiti degli utili risultanti dal bilancio della società. Gli azionisti correlati, pertanto, percepiscono utili solo se il settore correlato è in utile e anche se gli altri settori sono in perdita. Tuttavia, anche se azionisti “particolari”, essi rimangono pur sempre azionisti della società: pertanto, in caso di bilancio d’esercizio in perdita, non sarà possibile elargire loro alcun dividendo, permanendo il divieto di cui al secondo comma dell’art. 2433 cod. civ.3.

Azioni con diritto di voto limitato o escluso

Qualora previsto dallo statuto, il codice civile attribuisce alle Società per Azioni la facoltà di emettere particolari categorie di azioni caratterizzate dall’esclusione, dalla limitazione ovvero dalla subordinazione, al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative, del diritto di voto.
La limitazione o esclusione del diritto di voto un tempo prevedeva un bilanciamento dello squilibrio rispetto alle azioni ordinarie consistente in una elargizione obbligatoria per le azioni con diritto di voto limitato o escluso di dividendi superiori rispetto a quelli previsti per le azioni ordinarie. Tuttavia l’obbligatorietà della disposizione è venuta meno con l’entrata in vigore della riforma del diritto societario attuata dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6.
Resta in ogni caso salvo il divieto di superare complessivamente, con l’emissione di questa categoria di azioni, la metà del capitale sociale, in maniera tale che sia garantita la “copertura” di queste ultime da parte delle azioni ordinarie, così come previsto dall’ultima parte del secondo comma dell’art. 2351 cod. civ.

Azioni di godimento

L’articolo 2353 cod. civ. stabilisce che, qualora previsto dallo statuto, le Società per Azioni abbiano la facoltà di emettere anche azioni di godimento. Tali azioni, salvo che sia diversamente indicato dallo statuto, non danno diritto di voto nell’assemblea e “concorrono nella ripartizione degli utili che residuano dopo il pagamento delle azioni non rimborsate di un dividendo pari all’interesse legale e, nel caso di liquidazione, nella ripartizione del patrimonio sociale residuo dopo il rimborso delle altre azioni al loro valore nominale“. Solitamente tale tipo di azioni viene attribuito ai soci in sostituzione di azioni ordinarie a seguito di riduzione del capitale sociale per delibera assembleare, qualora ne sia stato rimborsato il valore nominale in un momento in cui il valore reale era maggiore, ovvero di riduzione del capitale sociale per perdite ai sensi degli artt. 2346 o 2347 cod. civ. (rispettivamente riduzione del capitale sociale per perdite qualora il capitale sia diminuito di oltre un terzo rispetto all’esercizio precedente e riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale di € 120.000) in favore di coloro i quali non siano in grado di partecipare alla ricapitalizzazione della società.

Le obbligazioni

Oltre ai titoli azionari le Società per Azioni hanno la possibilità, così come stabilito dal libro V, titolo V, sezione VII del codice civile (artt. 2410-2420-bis), di emettere titoli di credito causali che rappresentano frazioni del debito pecuniario della società conseguente a un’operazione di mutuo.
Mentre i titoli azionari fanno discendere in capo all’azionista diritti di natura patrimoniale, amministrativa e mista ma non fanno sì che il socio possa considerarsi creditore della società (basti pensare infatti che in caso di procedura concorsuale ai soci non è permessa l’insinuazione al passivo della società), le obbligazioni sono un vero e proprio titolo di debito della società che fa nascere un diritto di credito in capo all’obbligazionista. In linea generale la differenza sostanziale tra azionista e obbligazionista è sempre risieduta nel fatto che quest’ultimo non fosse soggetto ai tipici rischi che possono insorgere in capo all’azionista ma solamente al rischio di insolvenza della società. Tuttavia occorre ricordare che ai sensi del primo comma dell’art. 2411 cod. civ. “il diritto degli obbligazionisti alla restituzione del capitale ed agli interessi può essere, in tutto o in parte, subordinato alla soddisfazione dei diritti di altri creditori della società“. Pertanto la differenza tra le due categorie di possessori di titoli è stata significativamente mitigata.
L’emissione delle obbligazioni societarie deve essere tassativamente prevista dallo statuto della società e il potere dell’emissione non risiede più nell’organo assembleare riunito nella forma straordinaria, così come previsto prima della riforma del diritto societario del 2003, bensì nell’organo amministrativo, così come stabilito dall’art. 2410 cod. civ., attraverso procedure più veloci e snelle rispetto alla precedente.
La società può emettere titoli di debito per un ammontare complessivo non superiore al doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato, ai sensi del primo comma dell’art. 2412 cod. civ. Tale limite costituisce una garanzia per tutti i creditori della società che possono confidare nel fatto che, per tutta la durata del prestito obbligazionario, l’ammontare del capitale sociale, della riserva legale e di quelle disponibili corrisponda almeno alla metà delle obbligazioni in circolazione. Il secondo comma dell’art. 2412 cod. civ., tuttavia, sancisce una deroga al limite di cui sopra qualora le obbligazioni emesse in eccedenza siano destinate alla sottoscrizione da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali in materia finanziaria. In questo caso però nell’ipotesi di successiva circolazione dei titoli obbligazionari, chi le trasferisce risponde della solvibilità della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali, in maniera da non penalizzare i risparmiatori comuni che la legge vuole invece tutelare.
I titoli obbligazionari possono essere nominativi o al portatore e si distinguono, secondo una duplice tipologia di base, in obbligazioni ordinarie, che accordano al sottoscrittore il diritto alla restituzione del capitale, maggiorato di interesse, e obbligazioni convertibili in azioni, che attribuiscono al sottoscrittore la facoltà di convertire la posizione di creditore in quella di socio.

Obbligazioni ordinarie

All’interno delle due macrocategorie sopradescritte non è inusuale rinvenire all’interno di ciascuna di esse altri tipi di obbligazioni, modellati di volta in volta in funzione delle esigenze contingenti del mercato o della fisionomia dei potenziali investitori. Alcuni titoli, infatti, hanno la peculiare caratteristica di limitare l’alea della svalutazione monetaria ovvero di far discendere in capo all’obbligazionista determinati diritti a seguito di determinate vicende economiche favorevoli all’impresa nella quale si è deciso di investire. Data l’elevata personalizzazione dei titoli in relazione alle esigenze della parte attiva ovvero passiva dell’operazione, si descriveranno brevemente alcuni dei tipi di obbligazioni presenti nel Nostro mercato.

Obbligazioni a premio

Fermo restando che, come per tutti i titoli obbligazionari ordinari, è prevista la restituzione del capitale investito oltre agli interessi maturati, le obbligazioni a premio fanno discendere in capo all’obbligazionista il beneficio di possibili convenienze tramite un meccanismo di estrazione a sorte.

Obbligazioni indicizzate

Il presente tipo di obbligazione ordinaria prevede l’adeguamento del tasso di interesse alle modificazioni di indici prefissati al momento della sottoscrizione del prestito, il cui fine è quello di attenuare il rischio in capo all’obbligazionista della svalutazione dei titoli. Tra gli indici utilizzati solitamente per monitorare lo spread si ricordano, tra gli altri, quelli borsistici e quelli valutari.

Obbligazioni di partecipazione

Questo tipo di obbligazione ordinaria prevede che il tasso di interesse accordato agli obbligazionisti in forza del titolo sottoscritto sia integrato da una certa partecipazione agli utili distribuiti agli azionisti. Il titolo in questione, pur rientrando all’interno dei titoli obbligazionari, si avvicina notevolmente, per le caratteristiche appena descritte, ai titoli azionari, con un doppio vantaggio per il titolare ovverosia quello di appartenere alla categoria degli obbligazionisti, per i quali permane solamente il rischio di insolvenza della società emittente i titoli, al quale si aggiunge una parte dei diritti patrimoniali riservati agli azionisti.

Obbligazioni parametrate

Le obbligazioni parametrate sono obbligazioni ordinarie per le quali è assicurato un interesse, ovvero il rimborso alla relativa scadenza, commisurato al prezzo di eventuali merci prodotte dall’attività economica della società.

Obbligazioni convertibili in azioni

Esaminate le obbligazioni ordinarie verrà trattata l’altra macrocategoria delle obbligazioni, disciplinata dall’art. 2420-bis. L’articolo in questione prevede che tali obbligazioni attribuiscano al titolare la facoltà di convertire il credito in un determinato numero di azioni entro il termine fissato, depositandole presso la società. La convertibilità, in questo caso, consiste in un’opzione di novazione della causa del contratto di sottoscrizione da quella di mutuo alla causa societatis. Diversamente da quanto previsto per le obbligazioni “ordinarie”, la deliberazione per l’emissione di questo tipo di obbligazioni è demandata all’assemblea straordinaria e non all’organo amministrativo. L’assemblea dovrà quindi determinare il rapporto di cambio, il periodo e le modalità della conversione. Occorre ricordare che il cambio è fissato senza alcuna formalità ma in ogni caso nel rispetto del comma quinto dell’art. 2346 cod. civ., per il quale “in nessun caso il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale“. Qualora si arrivi alla riduzione del capitale sociale a zero, il diritto di conversione in capo agli obbligazionisti viene meno; tuttavia essi conservano il diritto di opzione ai sensi dell’articolo 2441 cod. civ.

Warrants

Tra le varie tipologie di obbligazioni convertibili in azioni si ricordano i cosiddetti warrants. I titoli sono caratterizzati dall’essere dei buoni al portatore, per i quali l’obbligazionista, pur rimanendo tale e non mutando la propria qualità in quella di socio, ha diritto di opzione contrattuale di sottoscrizione o di acquisto di un certo numero di azioni della società emittente ovvero altra società coinvolta nell’operazione, in periodi e a condizioni prefissate. L’emissione delle azioni è da considerare atto gestorio, riservato quindi agli amministratori, i quali saranno comunque onerati dal rispettare quanto previsto dall’articolo 2441 cod. civ.

Strumenti finanziari partecipativi

Il legislatore, definendo con la stessa denominazione strumenti di natura differente, ha fatto sì che potesse sorgere una certa confusione. Infatti, con il l’introduzione del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 358, cosiddetto Testo Unico Bancario, sono stati definiti strumenti finanziari tutti quei titoli negoziati nei mercati finanziari (ovverosia azioni, obbligazioni, derivati, ecc.).
Nel 2003 tuttavia il legislatore della riforma societaria ha introdotto all’interno della disciplina dei titoli azionari anche la disciplina degli strumenti finanziari partecipativi. Questi ultimi sono particolari strumenti che permettono al sottoscrittore di conseguire diritti non solo di tipo patrimoniale ma anche amministrativo, in quanto incidono sul contratto sociale e sulle situazioni soggettive dei soci, ferma restando la non imputabilità a capitale. Nel codice civile il fine degli strumenti finanziari è quello di apportare capitale alla società attraverso una maniera ibrida che si colloca a metà tra titoli azionari e obbligazionari. La disciplina è contenuta negli articoli 2351 e 2346, sesto comma, del cod. civ.4. Il fatto che all’interno del sesto comma dell’art. 2346 cod. civ. venga fatto riferimento all’assemblea generale è da considerare un chiaro refuso del legislatore in quanto l’organo in questione era previsto dal codice del commercio del Regno d’Italia (R.D. 31 ottobre 1882, n. 1062) dagli articoli dal 154 al 163 e non è presente in nessuna parte del vigente codice.

Private equity

Un particolare strumento finanziario di natura partecipativa recepito dal panorama anglosassone è il cosiddetto private equity, modalità ibrida per apportare capitale sociale all’interno di un’impresa e che è stato ampiamente utilizzato nelle società costituite nella famosa Silicon Valley. Non è infrequente infatti che un imprenditore abbia un’idea molto valida ma non possegga gli strumenti o i capitali per poterla realizzare. Al contrario sono presenti nei mercati finanziari soggetti con notevoli quantità di capitale e che sono disposti a finanziare un’idea promettente. Tali soggetti molto spesso non necessitano di particolare inventiva, ma forti del proprio patrimonio sono indotti a erogare un finanziamento al fine di speculare e guadagnare il più possibile dal progetto, realizzato grazie al dinamismo imprenditoriale dell’ideatore e ai propri mezzi o capitali.
Il socio-finanziatore, mediante il cosiddetto private equity, diventa quindi socio del socio-imprenditore. In questo caso il socio-finanziatore ha l’esigenza di proteggere il proprio investimento e, allo stesso tempo, essere privilegiato sotto il profilo patrimoniale rispetto al socio-imprenditore. Per questo motivo il socio-finanziatore richiederà oltre ad una notevole partecipazione societaria, il potere di controllo; non anche quello gestorio, il quale spetterà al socio-imprenditore. Nel diritto anglosassone sono quindi presenti le cosiddette preferred share, consistenti nell’attribuire una qualità che fa diventare il titolare qualcosa di più di un debitore ma un po’ meno di un socio. Per questo motivo il private equity viene definito come una categoria ibrida.
Nella realtà, tuttavia, molto spesso il socio-finanziatore utilizza azioni ordinarie e i diritti particolari del socio-finanziatore vengono regolati da un patto parasociale stipulato tra i due soggetti. In questa ipotesi è quindi presente un notevole vantaggio discendente dal patto parasociale per il socio-finanziatore in quanto il patto ha valenza meramente obbligatoria. Pertanto, diversamente dai diritti reali che scaturiscono dalle azioni “ibride”, è molto più pragmatico.

La Società in Accomandita per Azioni

Le Società in Accomandita per Azioni, più semplicemente SAPA, è stata per lungo tempo denominata anche “cassaforte di famiglia” per il fatto di possedere parte delle caratteristiche della Società per Azioni accanto a determinati limiti volti ad evitare scalate azionarie da parte di terzi. Questo tipo societario è scarsamente utilizzato nel Nostro paese e consiste nell’avere la compagine sociale formata da due diverse categorie di soci: gli accomandanti e gli accomandatari. Tali categorie sono disciplinate ai sensi dell’articolo 2452 cod. civ. I primi sono i cosiddetti soci-finanziatori e sono obbligati nei limiti della quota di capitale sottoscritta. Al contrario, i soci accomandatari, sono di diritto gli unici amministratori e sono chiamati a rispondere solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali. Le quote di partecipazione inoltre sono rappresentate da azioni, dalle quali non derivano posizioni differenziate per le due categorie di soci.

Azioni e obbligazioni

Per quanto riguarda la disciplina relativa ai titoli azionari e obbligazionari della Società in Accomandita per Azioni l’articolo 2454 cod. civ. stabilisce che “sono applicabili le norme relative alla società per azioni, in quanto compatibili” con le disposizioni che regolano il presente modello societario. Pertanto vi è da ritenere che si possa fare riferimento a quanto già evidenziato riguardo alla Società per Azioni.

Le società a responsabilità limitata

Il fatto che il titolo di cui sopra sia al plurale e non al singolare, come per gli altri modelli societari, non è casuale o frutto di un refuso. Infatti, allo stato, sono presenti due modelli che fanno capo alla disciplina generale della società a responsabilità limitata.

La Società a responsabilità limitata ordinaria

La Srl è un modello societario introdotto con il codice del 1942 ispirandosi al modello francese. Nel codice del commercio esisteva un antecedente storico costituito dalla società “anonima per quote”, variante della più conosciuta società anonima (attuale SpA), che tuttavia non aveva una disciplina dettagliata.
Prima della riforma operata dal legislatore nel 2003 la Srl era un tipo di società molto simile ad una piccola SpA. Alcune discipline erano identiche e molto spesso, come si è visto per la SAPA, era presente la tecnica del rinvio alle disposizioni della SpA.
La Srl è disciplinata dal codice civile nel libro V, titolo V, sezione VII, ed è quell’impresa costituita per atto unilaterale o contratto con un capitale minimo pari ad € 10.000. Il D.L. 28 giugno 2013, n. 76 ha tuttavia inserito all’interno dell’articolo 2463 cod. civ. il comma quarto con il quale ha stabilito che l’ammontare del capitale sociale possa essere determinato in misura inferiore a euro diecimila, pari almeno ad un euro. Tuttavia in questa ipotesi i conferimenti devono farsi esclusivamente in denaro e devono essere versati per intero alle persone cui è affidata l’amministrazione.
Come stabilito dall’articolo 2462 cod. civ. e conformemente a quanto previsto dalle società di capitali, la Società a responsabilità limitata, salvo l’ipotesi tassativa prevista dal secondo comma, risponde delle obbligazioni sociali con il proprio patrimonio. Secondo quanto previsto dall’articolo 2464 cod. civ. il valore dei conferimenti non può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale. Le partecipazioni sociali sono individuate, differentemente da quanto previsto per le SpA e le SAPA, da quote5 e non da azioni.
Una peculiarità della Srl consiste nel fatto che vi è una quasi totale libertà per quanto riguarda i conferimenti. Infatti, stabilisce l’art. 2464 cod. civ. che “possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica”, che possono quindi consistere, nella maniera più frequente, in danaro ma anche in beni in natura o crediti. Per questi ultimi due tuttavia sarà necessario, ai sensi del successivo art. 2465, effettuare la stima di tali conferimenti.
Proprio per il fatto che il legislatore ha permesso notevole libertà per quanto riguarda i conferimenti all’interno di tale modello societario, nel quale è possibile altresì conferire opere o servizi, è stato previsto un limite dall’articolo 2468 cod. civ. L’articolo in questione, infatti, oltre a prevedere che le partecipazioni non possono essere rappresentate da azioni, stabilisce per le partecipazioni il divieto di costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari. Tuttavia le partecipazioni, salvo diversa previsione indicata all’interno dell’atto costitutivo o dello statuto, possono essere trasferite liberamente, per atti tanto inter vivos quanto mortis causa.

Finanziamenti dei soci

L’articolo 2467 cod. civ. prevede la possibilità per i soci di finanziare la società, oltre a quanto già conferito all’interno della stessa. La prassi molto spesso prevede infatti che la società sia apparentemente sottocapitalizzata rispetto alle dimensioni proprie o del mercato. Tuttavia tale sottocapitalizzazione è meramente formale mentre la società, sul piano pratico sostanziale, ha adeguati mezzi per operare. Tale operazione di finanziamento permette tuttavia ai soci di elargire alla società somme di denaro a mutuo, mascherando di conseguenza dividendi frutto degli interessi della somma data a mutuo. L’operazione ha il vantaggio di equiparare la propria posizione, in caso di liquidazione o procedura concorsuale, a quella di terzi creditori.
Tuttavia il legislatore ha posto un limite molto forte al fine di evitare il proliferare di queste operazioni, ipoteticamente poste a danno dei creditori non soci. Recita l’articolo 2467 cod. civ. che “il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito”. Il comma successivo stabilisce inoltre che per finanziamenti si intendono concessioni alla società da parte dei soci effettuate in qualsiasi forma, per i quali risulti uno squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto per il quale sarebbe stato più ragionevole un conferimento6.

Titoli di debito

Una particolare fonte di finanziamento della società a responsabilità limitata è costituita dalla previsione contenuta nell’articolo 2483 cod. civ., secondo cui, qualora previsto dall’atto costitutivo, la società ha la possibilità di emettere titoli di debito.
I titoli in questione sono emessi, a seconda delle indicazioni, i limiti, le modalità e le maggioranze necessarie contenute nell’atto costitutivo, da parte dei soci o degli amministratori.
La legge tuttavia pone un limite fondamentale alla circolazione di tali titoli, consistente nel fatto che questi ultimi possano essere sottoscritti solamente da investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali. Questi ultimi hanno la possibilità di offrire i titoli al libero mercato. Tuttavia coloro i quali optino per il relativo trasferimento risponderanno della solvibilità della società nei confronti dei successivi sottoscrittori che non siano investitori professionali ovvero dei soci della società medesima. Quest’ultima ipotesi prevede che i soci della società acquistino da un investitore professionale le obbligazioni della società della quale sono soci. Pertanto, per il solo fatto di essere socio, vige una presunzione di informazione delle vicende sociali. Per questo motivo i soci che dovessero acquistare obbligazioni della società della quale si trovano ad essere soci, non saranno tutelati, al pari degli investitori professionali, diversamente per quanto previsto per la restante ed eventuale platea di investitori.

La Società a responsabilità limitata semplificata

Il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 – Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività – ha introdotto all’interno del codice civile l’articolo 2463-bis, contenente un nuovo modello societario all’interno della categoria delle società di capitali. L’articolo di cui sopra è stato introdotto all’interno della disciplina della società a responsabilità limitata e richiama, in quanto compatibili, le disposizioni del relativo capo.
Questo particolare tipo di società è una società di capitali a tutti gli effetti, alla stregua dei tre modelli classici (Spa, SAPA e Srl), ma sono presenti tuttavia due principali peculiarità rispetto alla Srl “ordinaria”. La prima risiede nel fatto che l’atto costitutivo debba essere redatto secondo quanto previsto dal modello ministeriale standardizzato, per il quale non è possibile effettuare alcuna deroga, salva la possibilità di alcune integrazioni. La seconda riguarda il capitale sociale: infatti nella Srlr il capitale sociale deve essere costituito esclusivamente da conferimenti in denaro per un importo ricompreso tra 1 e 10.000 Euro. A ciò si aggiunge il fatto che il capitale sottoscritto deve essere interamente versato al momento della sottoscrizione.
Il D.L. 22 giugno 2012, n. 83 recante “Misure urgenti per la crescita del Paese” aveva introdotto un terzo tipo di Srl accanto alle prime due, consistente nella Società a responsabilità limitata a capitale ridotto. Tuttavia quest’ultimo modello societario è stato abrogato dal D.L. 28 giugno 2013, n. 76, il quale ha previsto che le società a responsabilità limitata a capitale ridotto iscritte nel registro delle imprese ai sensi dell’art. 44 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 sono ora qualificate come società a responsabilità limitata semplificate.
Per quanto riguarda la disciplina dei finanziamenti e dei titoli di debito, posto che non risulta presente alcun divieto imposto da parte del legislatore, è da ritenere che la Srls segua in tutto e per tutto la disciplina sopra riportata relativa alla Srl “ordinaria”.

Nuovi strumenti di finanziamento per le imprese

Il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, recante Misure urgenti per la crescita del Paese, così come modificato dalla Legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto con l’art. 32 un nuovo strumento di finanziamento per le imprese. Dispone infatti il comma 5-bis l’inserimento di determinati commi nell’art. 1 della legge 13 gennaio 1994, n. 43 – Disciplina sulle cambiali finanziarie – con i quali si permette a tutte le società di capitali, società cooperative e mutue assicuratrici diverse dalle banche e dalle micro-imprese7 di emettere cambiali finanziarie, ovverosia quei “titoli di credito all’ordine emessi in serie ed aventi una scadenza non inferiore a un mese e non superiore a trentasei mesi dalla data di emissione“. Le imprese di cui sopra che non siano quotate hanno la possibilità di emettere questo tipo di strumento finanziario alla presenza di determinati requisiti consistenti, durante l’emissione, nell’assistenza obbligatoria da parte di enti quali istituti bancari, imprese di investimento, SGR o SICAV che assumeranno la veste di sponsor e che dovranno mantenere nel proprio portafoglio una percentuale variabile a seconda dell’ammontare delle cambiali. L’assistenza di cui sopra è da considerare obbligatoria per le piccole e medie imprese, così come individuate dalla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione del 6 maggio 2003, mentre è da ritenere facoltativa per le grandi imprese. Le cambiali emesse, inoltre, dovranno essere girate esclusivamente in favore di investitori professionali che non ricoprano la veste di socio delle società emittenti, e l’ultimo bilancio di queste ultime dovrà essere certificato da una società di revisione contabile.

La startup innovativa e le deroghe al diritto societario

Il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 – Decreto Crescita 2.0 – ha introdotto, come già anticipato in un precedente post, il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento la qualifica, per le società di capitali che ne facciano richiesta, di startup innovativa dalla quale discende, previa verifica dei requisiti dalla Camera di Commercio competente, il diritto di essere iscritti in una sezione speciale del registro delle imprese.
I requisiti per poter essere qualificati come startup innovativa sono disciplinati dall’art. 25, comma II del D.L. Crescita 2.0. Tuttavia, per quanto interessa in questa sede, si ricorda che possono essere riconosciute quali startup innovative le società di capitali, con qualsiasi modello, costituite da non più di 48 mesi, per le quali il totale del valore della produzione annua non sia superiore a € 5 milioni e che non distribuisce e non ha distribuito utili.
Fatta questa breve ma doverosa premessa si andranno ora ad analizzare i benefici relativi ai finanziamenti che possono essere ottenuto dalle imprese con lo status di startup innovativa. L’articolo 26 del D.L. di cui sopra, infatti, oltre a prevedere al primo comma che le perdite dell’esercizio precedente possono essere posticipate all’esercizio successivo, stabilisce che “l’atto costitutivo della start-up innovativa costituita in forma di società a responsabilità limitata può creare categorie di quote fornite di diritti diversi e, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle varie categorie anche in deroga a quanto previsto dall’articolo 2468, commi secondo e terzo, del codice civile“. Tale disposizione dunque assimila, per quanto concerne la disciplina dei finanziamenti, la Srl ad una piccola società per azioni, la quale sarà in grado di ottenere finanziamenti anche da terzi e senza i limiti imposti dall’articolo 2483 cod. civ.
Il terzo comma del medesimo articolo stabilisce che, qualora previsto dall’atto costitutivo e in deroga a quanto stabilito dal quinto comma dell’articolo 2479 cod. civ., la srl startup innovativa abbia la facoltà di “creare categorie di quote che non attribuiscono diritto di voto o che attribuiscono al socio diritti di voto in misura non proporzionale alla partecipazione da questi detenuta ovvero diritti di voto limitati a particolari argomenti o subordinati al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative“. Si può quindi notare come, da questo punto di vista, il legislatore abbia voluto equiparare le quote delle Srl startup innovative alla disciplina tradizionale prevista dal codice civile per le azioni della SpA, così come sopra descritta.
Il quinto comma sancisce una deroga espressa al primo comma dell’articolo 2468 cod. civ. prevedendo che le quote della startup innovativa costituita con la forma della Srl possano costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, anche attraverso i portali per la raccolta di capitali previsti dal Decreto stesso, nei limiti previsti dalle leggi speciali. Il sesto comma rende possibile anche per la Srl startup innovativa la previsione riservata alle società per azioni consistente nella facoltà di porre in essere operazioni sulle proprie partecipazioni, in deroga al divieto previsto dall’articolo 2474 cod. civ., qualora l’operazione sia compiuta in attuazione di piani di incentivazione che prevedano l’assegnazione di quote di partecipazione a dipendenti, collaboratori o componenti dell’organo amministrativo, prestatori di opera e servizi anche professionali.
Il settimo comma stabilisce che l’atto costitutivo possa prevedere, anche a seguito dell’apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, l’emissione di strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nelle decisioni dei soci ai sensi degli articoli 2479 e 2479-bis cod. civ. Tale comma deroga espressamente, pertanto, quel limite posto dall’art. 2468 cod. civ., volto a vietare che le quote della Srl potessero costituire oggetto di offerta al pubblico, proprio per l’ampia libertà concessa per quanto riguarda i conferimenti.
Per incentivare i finanziamenti nelle startup innovative da parte degli investitori, il legislatore ha previsto nell’articolo 29 del D.L. 179/2012 che per le somme investite negli anni da 2013 a 2016 le persone fisiche e le società abbiano la possibilità di detrarre rispettivamente il 19% lordo dall’Irpef e il 20% dall’Ires, per un investimento massimo deducibile dell’importo di € 1.800.000 per ciascun esercizio di imposta e da mantenere per almeno due anni.
Inoltre, al fine di facilitare la circolazione dei titoli emessi dalle società, sono stati disciplinati all’articolo 30 del Decreto i portali on line per la raccolta dei capitali delle startup innovative.

Durante l’anno 2012 abbiamo assistito ad un periodo caratterizzato dal susseguirsi di importanti riforme che hanno interessato il Nostro Paese. Tali riforme hanno portato decisivi cambiamenti, alcuni negativi, altri decisamente positivi.

Riguardo a questi ultimi non si può non menzionare l’intervento che il Legislatore ha inteso apportare attraverso il D.L. 18 ottobre 2012, n. 1791, cd. Decreto Crescita 2.0, il quale, con un’intera sezione dedicata2 ha introdotto nell’ordinamento le definizioni di Start-up innovativa e Incubatore di start-up innovative certificato, disciplinandone i relativi requisiti.

Per merito, se così si può definire, della crisi che interessa tanto il Nostro Paese quanto il panorama internazionale dal lontano 2008, per la prima volta la politica italiana ha deciso di guardare oltre i confini nazionali degli incentivi per le imprese al fine di trarne uno spunto da utilizzare per lanciare l’imprenditoria giovanile nei settori altamente tecnologici.

L’art. 25 del suindicato Decreto si è occupato di dare una definizione di start-up innovativa e incubatore certificato, stabilirne le finalità e le relative forme di pubblicità. La start-up innovativa è la società di capitali3 residente in Italia4 non quotata su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, costituita da non più di quarantotto mesi, della quale la produzione annua sia inferiore ai cinque milioni di Euro e che in ogni caso non distribuisca o abbia distribuito utili, il cui core business riguardi “lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico5” e che non sia frutto di fusioni, scissioni o cessione di ramo d’azienda.

Inoltre il Legislatore, affinché una società possa essere qualificata start-up innovativa, ha individuato tre ulteriori requisiti alternativi tra loro. È necessario che la società sostenga spese finalizzate alla ricerca o allo sviluppo in percentuale uguale o superiore al 15% del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione; abbia personale qualificato6, oppure sia titolare di proprietà industriali7.

Qualora a seguito della domanda da parte di una società la Camera di Commercio di competenza accertasse che la stessa sia in possesso dei requisiti di cui all’art. 25, l’Ente provvederà ad iscriverla nel registro delle imprese in un’apposita sezione riservata alle società qualificate come Start-up innovative.

Il fatto di ottenere il riconoscimento di Start-up innovativa fa discendere nei confronti della società iscritta nella sezione speciale, oltre gli oneri indicati dall’art. 25, diversi benefici. L’art. 26 del Decreto stabilisce infatti alcune deroghe alle norme del Codice Civile in materia di diritto societario. Le deroghe ivi contenute consistono nel posticipare di un esercizio gli effetti che discendono dagli articoli 2446 e 2482 bis del Codice8. Qualora la società iscritta abbia scelto il modello societario della società a responsabilità limitata, per tutta la durata della qualifica di start-up innovativa, avrà la facoltà di creare delle categorie di quote diverse9, analogamente a quanto previsto per quanto riguarda il modello della società per azioni, in deroga a quanto stabilito dai commi II e III dell’art. 246810 e dal comma V dell’art. 247911 cc. La società a responsabilità limitata avrà inoltre la possibilità di emettere strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi ai quali tuttavia non è possibile far discendere il diritto di voto nelle delibere assembleari.

Il comma VIII dell’art. 26 inoltre attribuisce alle società qualificate start-up innovative, dal momento della loro iscrizione nel registro speciale presso le Camere di Commercio, a condizione che permangano i requisiti per il riconoscimento attribuito dall’art. 25, l’esonero dal pagamento dell’imposta di bollo12 e dei diritti di segreteria dovuti per gli adempimenti relativi alle iscrizioni nel registro delle imprese, nonché dal pagamento del diritto annuale dovuto in favore delle Camere di Commercio13.

Ulteriori innovazioni rispetto ai modelli societari “ordinari” sono stati previsti dagli articoli 27 e 27 bis, i quali hanno introdotto un regime fiscale e contributivo di favore per i piani di incentivazione basati sull’assegnazione di azioni, quote o titoli similari ad amministratori, dipendenti, collaboratori e fornitori delle imprese startup innovative e degli incubatori certificati. Al fine di incentivare tali forme di remunerazione è stato stabilito che i redditi derivanti dall’attribuzione di questi strumenti finanziari non concorrono alla formazione della base imponibile, sia per quanto riguarda i fini fiscali sia per quelli contributivi.

Al fine di facilitare l’imprenditoria giovanile e al tempo stesso incentivare il mercato del lavoro è stata introdotta attraverso l’articolo 28 la possibilità, durante la permanenza nella sezione dedicata del registro delle imprese, di stipulare contratti a tempo determinato, per lo svolgimento di attività inerenti o strumentali all’oggetto sociale della stessa, per una durata minima di sei mesi e per un massimo di trentasei mesi, derogando così le norme di diritto del lavoro, e segnatamente l’articolo 5, comma 3, D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 36814.

Il Legislatore, consapevole del fatto che a causa del periodo di crisi le banche non siano molto propense ad elargire credito ad imprese di nuova costituzione, ha inteso incentivare le forme private di finanziamento stabilendo, all’art. 29, deduzioni e detrazioni per gli investimenti effettuati nei confronti delle società iscritte nella sezione dedicata del registro delle imprese. In particolare è stato previsto che ai fini dell’IRPEF il contribuente possa detrarre un importo pari al 19 per cento della somma investita nel capitale sociale di una o più start-up innovative qualora l’investimento venga mantenuto per una durata di almeno due anni. Inoltre, per quanto riguarda gli investimenti operati da parte delle persone giuridiche, è stato previsto che il 20 per cento degli investimenti non concorra alla formazione del reddito IRES. Riguardo all’incentivazione degli investimenti in tali società, attraverso l’art. 30, il Legislatore ha inteso modificare l’art. 1 del TUF15 introducendo, attraverso i commi 5 nonies e 5 decies, la possibilità da parte delle start-up innovative di raccogliere capitali di rischio tramite portali on-line.

Ultima ma non meno importante è la previsione di cui all’articolo 31 con la quale il Legislatore ha inteso regolare in maniera differente la composizione e la gestione di eventuali crisi di impresa escludendo le start-up innovative dalle “classiche” procedure concorsuali, ad eccezione dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio di cui alla Legge 27 gennaio 2012, n. 3.

A fronte di quanto appena riportato si può osservare come il Legislatore abbia tentato di agevolare l’attività di impresa, prevedendo da un lato deroghe a modelli societari e lavorativi tipici e dall’altro incentivi e detrazioni fiscali. L’introduzione della start-up innovativa tuttavia deve essere intesa solamente come un primo passo per la reale promozione, e quindi creazione, di una futura imprenditoria giovanile nel settore altamente tecnologico, posto che il divario tra la realtà italiana rispetto a quella internazionale in questo campo è marcato.