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Con l’Ordinanza del 6 Settembre 2022 n. 26164 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha definito una volta per tutte l’illegittimità delle bollette telefoniche a scadenza di 28 giorni, già in passato oggetto di provvedimenti che sono stati sempre impugnati dagli operatori telefonici: una vittoria decisiva utile a tutti i consumatori che per anni sono stati vessati da alcune Compagnie.

La Corte di Cassazione ha condannato gli operatori telefonici che imputavano agli utenti un canone fisso ogni 28 giorni anziché, più correttamente, mensilmente o bimestralmente in relazione ai contratti per le linee fisse nonché per le numerazioni mobili. Con questo escamotage le compagnie telefoniche potevano beneficiare di un rinnovo in più nel corso dell’anno e usufruire di 13 scadenze invece delle canoniche 12 annue.

A partire dal 2017, infatti, alcune compagnie telefoniche hanno apportato un aumento arbitrario di circa l’8,6% alle condizioni economiche per i contratti di telefonia, nonché una riduzione del periodo di rinnovo e/o fatturazione delle offerte, passando da una cadenza mensile a quella quadrisettimanale. In tale modo i consumatori risultavano danneggiati dall’aumento delle tariffe, non ricondotto da libere scelte imprenditoriali degli operatori di telecomunicazioni bensì da peculiari modalità della cadenza di fatturazione.

Tale approccio, oltre ad essere avulso dagli altri contesti di fatturazione tradizionalmente connotati da periodi di fatturazione ordinaria su base mensile, non risultava rispettoso della trasparenza delle condizioni economiche nei confronti degli utenti. Invero l’utente, grazie all’apparente piccolo scarto tra 28 giorni e un mese intero sottovalutava la sottile discrepanza e non coglieva fin da subito il predetto aumento. Inoltre la scelta della fatturazione a 28 giorni limitava drasticamente la possibilità di reperire offerte basate su termini temporali mensili, rendendo difficoltoso altresì l’esercizio del diritto di recesso, poiché non erano più reperibili sul mercato alternative diverse da quella così adottata.

In buona sostanza, oltre all’aumento dei prezzi delle tariffe telefoniche con modalità non trasparenti, l’aumento del corrispettivo dai canonici 12 rinnovi annui ai 13 di cui si è detto sopra, creava anche una impossibilità oggettiva di confrontare e scegliere offerte di altri operatori telefonici.

Una prima forma di tutela era stata già stata prevista con la delibera AGCOM n. 121 del 15 marzo 2017, con la quale l’Autorità aveva imposto agli operatori di telefonia di riportare la fatturazione su base mensile o suoi multipli per i servizi di telefonia fissa, tuttavia non tutti gli operatori si erano allineati a quanto stabilito in tale provvedimento.

A fronte dell’Ordinanza n. 26164/22 delle Sezioni Unite tutti gli operatori di telecomunicazioni non potranno continuare ad imporre la fatturazione per periodi quadrisettimanali ma dovranno immediatamente attenersi alla fatturazione mensile o bimestrale, senza giustificazione alcuna.

Nel caso in cui siate stati vittima di tale fatturazione scorretta lo Studio Legale Pasi potrà prestare assistenza per ottenere nel minor tempo possibile il rimborso delle somme indebitamente richieste, oltre ad un risarcimento dei danni patiti per i comportamenti sleali e poco trasparenti di alcune compagnie telefoniche.

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Con l’intento di acquistare un bene immobile quasi sicuramente uno dei primi luoghi in cui ci recheremo è un’agenzia immobiliare. L’agente immobiliare è quella figura di intermediazione che pone in collegamento l’offerta e la domanda del mercato immobiliare, ovverosia il proprietario del bene da una parte e l’acquirente o il locatore dall’altra.

Solitamente l’agente immobiliare accompagna durante tutto il procedimento di compravendita le due parti interessate e i suoi compiti sono i più disparati: dalla pubblicizzazione degli annunci, alla consulenza e al rilascio di informazioni inerenti al bene, sino alla proposta di acquisto.

Tuttavia, per molteplici cause, non sempre è possibile perfezionare un contratto preliminare o un atto di compravendita; in questi casi possono nascere eventuali problematiche con il mediatore. Egli, infatti, potrebbe richiedere ugualmente un compenso, consistente nella provvigione per le attività svolte.

Ma il mediatore ha davvero diritto a veder riconosciuta questa eventuale richiesta?

La giurisprudenza, da diversi anni, è ormai costante nel ritenere che il mediatore abbia diritto alla provvigione allorché la conclusione dell’affare abbia avuto luogo per effetto dell’intervento del mediatore stesso, ancorché questi non abbia partecipato a tutte le fasi della trattativa e cioè, come detto, quando la conclusione dell’affare possa comunque ricollegarsi al c.d. “rapporto di causalità” all’attività mediatrice.

Definire quando questo rapporto di causalità si verifichi può far sorgere ulteriori perplessità.

Generalmente si intende che l’intervento debba essere efficace nel favorire la conclusione dell’affare; in altre parole, è sufficiente che il mediatore abbia creato un punto di contatto tra l’offerta e la domanda, ovverosia che abbia messo in relazione parte venditrice con parte acquirente, al di là del buon esito delle trattative. Lo stesso principio si dovrà applicare anche nel caso in cui per uno stesso affare abbiano partecipati più mediatori. In caso di dubbi o contrasti, ovviamente, resterà salva l’ipotesi di rivolgersi all’autorità giudiziaria che valuterà, caso per caso, se e a chi spetti l’eventuale provvigione, anche in virtù dell’attività effettivamente prestata.

Ad ogni modo i punti controversi non si esauriscono con quanto sopra riportato. Potrebbero nascere, infatti, ulteriori problematiche in relazione al corretto adempimento degli obblighi professionali da parte del mediatore quali, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, quelli informativi sulla valutazione dell’immobile, sulla sicurezza dell’affare ovvero ancora derivanti dall’iscrizione nei registri o repertori preposti.

Lo Studio Legale Pasi è disponibile offrire una consulenza su questi e altri aspetti rilevanti onde evitare di vedere compromesso l’acquisto dell’immobile, da una parte, o il diritto alla provvigione, dall’altra.

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La tutela delle immagini fotografiche è disciplinata da diverse fonti normative a livello internazionale, europeo e nazionale. In ambito nazionale la materia è regolata a vario titolo dalla Legge del 22 aprile 1941 n. 633, rubricata “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”. Invero, le opere fotografiche godono della tutela del diritto d’autore, mentre le mere immagini, a certe condizioni, possono godere dei c.d. “diritti connessi”.

Vediamo quali sono le differenze.

L’art. 87 della L. n. 633/1941 definisce le “fotografie” quali immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con processo analogo, comprese le riproduzioni di opere dell’arte figurativa e i fotogrammi delle pellicole cinematografiche.

Le “opere fotografiche” sono tutte quelle immagini sulle quali si può agevolmente evincere una spiccata creatività dell’autore, ovverosia un modo personale ed individuale di esprimere un’opera d’arte. Diversamente, le cd. “semplici fotografie” hanno ad oggetto le immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale sociale, prive del carattere creatività, ovverosia senza una indubbia accuratezza tecnica e caratterizzazione espressiva, caratteristiche nitidamente percepibili attraverso la visione della foto. Per completezza si rammenta come le fotografie di scritti, documenti, carte di affari, oggetti materiali, disegni tecnici e prodotti simili risultino escluse da entrambe le predette categorie e, per l’effetto, non sono beneficiarie delle predette tutele.

La riproduzione delle opere fotografiche è ammessa solamente a seguito dell’autorizzazione da parte dell’autore o comunque del titolare dei relativi diritti mentre per le fotografie semplici, salvo casi particolari, l’autore ha un diritto limitato per una durata di vent’anni durante i quali, per la riproduzione, la diffusione e lo spaccio delle immagini occorre la sua autorizzazione.

A ben vedere, per le mere immagini, occorre stabilire se vi si possano applicare i c.d. “diritti connessi” o meno. Nel caso in cui gli esemplari della fotografia riportino il nome del fotografo o dell’impresa presso la quale il fotografo dipende o ancora del committente, la data dell’anno di produzione della fotografia ed il nome dell’autore dell’opera d’arte fotografata, la riproduzione è lecita a seguito del riconoscimento di un equo compenso; inoltre, tali elementi, già presenti sull’originale, dovranno essere riportati anche sulla riproduzione.

Nel caso in cui negli esemplari originali risultino mancanti i suddetti elementi, la riproduzione non è considerata abusiva e, pertanto, non sono dovuti i compensi all’autore. In egual modo recentemente è stato specificato che la pubblicazione su un sito internet di una fotografia precedentemente pubblicata su un altro sito, dopo essere stata previamente copiata su un server privato, deve essere qualificata come “messa a disposizione”. In tale caso i visitatori del sito internet hanno libero accesso a detta fotografia attraverso tale sito internet, per cui saranno esentati al versamento di un compenso, fatta salvo che il fotografo non provi la malafede del riproduttore.

L’equo compenso varierà a seconda del numero delle opere riprodotte, dell’arco temporale nel quale si intende pubblicare, del mezzo di diffusione scelto per la riproduzione, nonché dello scopo per il quale si procede con la pubblicazione.

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