Il contratto di locazione di un immobile ad uso abitativo mobiliato impone al conduttore l’onere di custodire e mantenere il bene in buone condizioni, senza specificare se con tale sintagma si intenda nelle medesime condizioni in cui è iniziato il possesso o con il normale deterioramento dettato dall’uso.
A tal proposito è venuta in soccorso la giurisprudenza con diverse pronunce, tra le quali la Suprema Corte nella Sentenza n. 29329/2019 da ultimo richiamata dal Tribunale di Milano, Sent. n. 9637/2021, stabilendo che se il locatore dovesse richiedere all’inquilino di rilasciare l’immobile nel medesimo ed esatto stato in cui si è concluso il contratto, ci si troverebbe di fronte ad un patto contrario alla legge, come stabilito dall’art. 79, della L. n. 392/1978.
A ben vedere, il deterioramento subito dall’immobile per il suo normale uso è intrinsecamente già stato accettato dal locatore; quest’ultimo, giustappunto, commisura il canone di locazione anche in previsione di tale utilizzo. Dalla pronuncia si evince che il proprietario dell’immobile si trovi già avvantaggiato dal versamento mensile del canone; pertanto imporre al conduttore di affrontare anche spese ulteriori per riportare i locali o i singoli beni allo stato originario costituirebbe un ulteriore profitto, vietato dall’art. 79 della L. n. 392 del 1978.
Più concretamente la giurisprudenza ha ritenuto nulla la clausola, seppur pattuita, che dovesse imputare al conduttore le spese per la tinteggiatura delle pareti, i forni usurati, i disassamenti delle ante dei mobili o per le macchie sui materassi.
Sebbene occorra sempre una valutazione caso per caso, anche in considerazione della durata del contratto e del tipo di qualità del materiale con cui è ornato l’immobile, la predetta responsabilità si rileva persino nel caso in cui il conduttore, all’atto della firma del contratto, abbia dichiarato di aver trovato l’unità abitativa in buono stato e adatta all’uso convenuto.