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La recente Sentenza n. 3603/2022 del Tribunale di Roma ha trattato l’interessante quanto utile possibilità, per un condomino, di rendersi autonomo dal riscaldamento centralizzato presente nel proprio stabile. Questa ipotesi ha subìto nel corso degli anni un’evoluzione giurisprudenziale che in seguito è stata recepita a livello normativo. L’argomento è di estrema attualità a fronte degli esorbitanti aumenti delle bollette del gas degli ultimi mesi che tutti noi siamo stati costretti a fronteggiare.

Ma entriamo nel vivo della questione.

Come sopra preannunciato la Suprema Corte riteneva possibile il distacco dal riscaldamento condominiale solamente in presenza di determinate condizioni. In primis se il distacco fosse stato già previsto in un regolamento di condominio e, soprattutto, nel caso in cui la delibera di autorizzazione fosse stata adottata dai condomini all’unanimità; in secondo luogo se l’interessato avesse fornito prova di un’effettiva e proporzionale riduzione delle spese di esercizio, nonché se non fosse derivato alcuno squilibrio per l’impianto di riscaldamento centralizzato.

Recentemente si è potuta osservare un’ulteriore evoluzione giurisprudenziale, grazie all’intervento dei giudici di merito e in seguito di legittimità, i quali hanno delineato una maggiore facilità nella rinuncia unilaterale al riscaldamento condominiale. In particolare è emerso il principio secondo il quale il distaccamento sia pienamente legittimo quando il condomino dimostri che dal proprio operato non derivino né aggravi di spese per coloro che continuano a fruire dell’impianto, né squilibri termici che potrebbero arrecare pregiudizi all’erogazione del servizio in favore degli altri condomini.

Tuttavia occorre precisare che l’esercizio di tale diritto non prevede una contestuale e automatica esenzione dal pagamento delle spese condominiali inerenti al riscaldamento stesso. E’ infatti opportuno segnalare che il soggetto che si distacca dall’impianto centralizzato rimane comunque obbligato a corrispondere le spese di conservazione dell’impianto condominiale, mentre rimangono escluse le spese relative all’uso di quell’impianto poiché, concretamente, non viene da questi utilizzato.

La ratio della concessione del diritto consiste nel fatto che l’impianto di riscaldamento rientra tra i beni comuni dello stabile, pertanto segue la medesima disciplina codicistica prevista per la comunione in condominio. A fronte di tale di precisazione, pertanto, le spese di manutenzione saranno ripartite tra tutti i condomini in forza delle quote riportate nelle tabelle millesimali allegate al regolamento di condominio.

Per il medesimo motivo sono invece escluse le c.d. spese di esercizio, in quanto dipendenti da un fatto soggettivo e mutevole che ne ha escluso il consumo. Inoltre, qualora la scelta del singolo dovesse andare a discapito degli altri condomini attraverso l’eventuale aumento delle spese di gestione, se ne ricava dai principi sopra riportati che queste ultime saranno oggetto di divisione tra tutti i condomini, tenendo in considerazione la percentuale di aumento subita dagli altri condomini che hanno deciso di continuare ad utilizzare l’impianto centralizzato.

Da quanto sopra emerge quindi che il principio tutelato dai Giudici di legittimità e di merito con l’evoluzione giurisprudenziale consiste nel riconoscere una sorta di “supremazia” del benessere condominiale rispetto all’interesse del singolo che, tuttavia, non potrà essere ridimensionato totalmente.

Il distaccamento dall’impianto centralizzato sarà sempre possibile, anche se è stato espressamente vietato dal regolamento condominiale, in quanto la libertà individuale deve essere sempre tutelata, salvo che da essa non derivi un pericolo concreto per tutti gli altri condomini. In tutti gli altri casi, invece, sarà possibile distaccarsi senza alcuna autorizzazione od approvazione degli altri condomini seppur rimanga, come sopra anticipato, l’obbligo di pagamento delle spese per la conservazione e la gestione dell’impianto condominiale.

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Una delle questioni maggiormente ricorrenti nel momento successivo della stipula di un contratto di compravendita di un’unità abitativa di un condominio concerne la richiesta da parte del condominio del pagamento per le somme non versate dal precedente proprietario.

Di primo acchito potrebbe quasi venire spontaneo rispondere che i nuovi acquirenti dovrebbero rispondere soltanto dei debiti propri, a partire dalla data di sottoscrizione dell’atto notarile.

In realtà le cose non stanno esattamente così.

Secondo l’art. 63 delle disposizioni di attuazione al codice civile è previsto che, per quanto concerne la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, il nuovo acquirente debba rispondere in solido con il precedente proprietario di eventuali insoluti riferiti all’anno in corso di acquisto e all’anno precedente al subentro.

In particolare l’acquirente può essere chiamato a rispondere dei debiti condominiali del suo venditore solidalmente con quest’ultimo. Ciò vuol dire che il nuovo acquirente non si sostituisce al precedente per quanto concerne la titolarità del debito, tuttavia assume comunque una corresponsabilità nei confronti del condominio.

Tale disposizione si applica solamente in relazione ai rapporti tra il singolo condomino con il relativo condominio, ma non anche nei rapporti intercorrenti tra l’acquirente e il venditore. Tra queste due figure, salvo che non sia stato diversamente convenuto tra loro, è operante il principio generale della personalità delle obbligazioni. Pertanto, qualora l’acquirente sia chiamato a rispondere delle obbligazioni condominiali sorte nel biennio precedente al suo ingresso, sarà tenuto a rispondere solidalmente nei confronti del condominio; tuttavia, in virtù del principio dell’ambulatorietà, l’avente causa si potrà comunque rivalere nei confronti del suo dante causa.

Tuttavia è comunque valida tra le parti, ovverosia nei rapporti interni tra venditore e compratore, una clausola da inserire nel contratto di compravendita che faccia ricadere integralmente sul compratore l’onere di sostenere le spese condominiali relative a lavori di straordinaria manutenzione, deliberate ed ancora da eseguire. Sono invece escluse, diversamente, le spese legali che il precedente inquilino avrebbe dovuto pagare in un procedimento contro il Condominio e che anche dopo l’acquisto non ha provveduto a versare.

Ad ogni modo in tali situazioni occorre valutare diversi aspetti oltre a quelli sopra elencati come, ad esempio, la modalità di notifica della richiesta debitoria, l’atteggiamento o la scelta difensiva del precedente proprietario. Prima di procedere all’acquisto di immobili è opportuno richiedere anche una consulenza in ambito legale proprio per evitare eventuali, spiacevoli e onerosi inconvenienti nella fase successiva all’acquisto.

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La giurisprudenza, di merito e di legittimità, è costante nel ritenere che in presenza di infiltrazioni d’acqua provenienti dal lastrico solare, quand’anche questo sia di proprietà e di uso esclusivo di un solo condomino, tutti i condomini debbano partecipare alle spese di manutenzione straordinaria, seppur in misura differente.

Quanto appena affermato, in particolare, si realizza quando l’infiltrazione derivi dalla mancanza di manutenzione ordinaria del condominio e dalla vetustà degli elementi strutturali, indipendentemente dalla proprietà o dall’uso esclusivo dal bene compromesso.

La ratio di tale assunto è rintracciabile nella funzione stessa del lastrico solare che, fungendo da copertura dell’intero fabbricato, tutela tutti i condomini dello stabile; questi, consequenzialmente, saranno chiamati a partecipare alle spese poiché dalla riparazione, manutenzione o sostituzione del lastrico ne trarranno tutti un diretto vantaggio.

Segnatamente, salva la prova contraria, si può dedurre che il codice civile attribuisca un onere di custodia, ai sensi dell’articolo 2051 del codice civile, in capo al proprietario o all’usuario esclusivo del lastrico solare, e un onere di manutenzione ordinaria e straordinaria in capo al condominio.

Una recente pronuncia del Tribunale di Latina, sentenza n. 4313/2021, ribadisce che “la funzione di copertura dell’intero edificio, o di parte di esso, propria del lastrico solare […] ancorché di proprietà esclusiva o in uso esclusivo, impone all’amministratore l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni […] e all’assemblea dei condomini di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria”.

Pertanto, nel caso specifico, si deduce che la responsabilità delle infiltrazioni sia imputabile in primis al condominio che non ha attuato tempestive riparazioni e/o ricostruzioni, ed in seconda battuta al proprietario del lastrico in quanto custode: costui infatti, “governando” il bene, non ha impedito immediatamente il pregiudizio e l’aggravio successivo.

Alla luce di quanto sopra, coerentemente, il codice civile all’ art. 1126 stabilisce che ⅓ delle spese straordinarie siano attribuite in capo al proprietario, o a chi utilizza esclusivamente il lastrico solare, e ⅔ delle spese siano invece attribuite al condominio.

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Il contratto di locazione di un immobile ad uso abitativo mobiliato impone al conduttore l’onere di custodire e mantenere il bene in buone condizioni, senza specificare se con tale sintagma si intenda nelle medesime condizioni in cui è iniziato il possesso o con il normale deterioramento dettato dall’uso.

A tal proposito è venuta in soccorso la giurisprudenza con diverse pronunce, tra le quali la Suprema Corte nella Sentenza n. 29329/2019 da ultimo richiamata dal Tribunale di Milano, Sent. n. 9637/2021, stabilendo che se il locatore dovesse richiedere all’inquilino di rilasciare l’immobile nel medesimo ed esatto stato in cui si è concluso il contratto, ci si troverebbe di fronte ad un patto contrario alla legge, come stabilito dall’art. 79, della L. n. 392/1978.

A ben vedere, il deterioramento subito dall’immobile per il suo normale uso è intrinsecamente già stato accettato dal locatore; quest’ultimo, giustappunto, commisura il canone di locazione anche in previsione di tale utilizzo. Dalla pronuncia si evince che il proprietario dell’immobile si trovi già avvantaggiato dal versamento mensile del canone; pertanto imporre al conduttore di affrontare anche spese ulteriori per riportare i locali o i singoli beni allo stato originario costituirebbe un ulteriore profitto, vietato dall’art. 79 della L. n. 392 del 1978.

Più concretamente la giurisprudenza ha ritenuto nulla la clausola, seppur pattuita, che dovesse imputare al conduttore le spese per la tinteggiatura delle pareti, i forni usurati, i disassamenti delle ante dei mobili o per le macchie sui materassi.

Sebbene occorra sempre una valutazione caso per caso, anche in considerazione della durata del contratto e del tipo di qualità del materiale con cui è ornato l’immobile, la predetta responsabilità si rileva persino nel caso in cui il conduttore, all’atto della firma del contratto, abbia dichiarato di aver trovato l’unità abitativa in buono stato e adatta all’uso convenuto.

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