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Nel caso in cui doveste ricevere fatture di energia elettrica con un importo sospetto, eccessivamente elevato e non dovuto solamente agli aumenti che stanno interessando questo periodo, c’è la possibilità di intraprendere diversi rimedi, sia in sede stragiudiziale sia in sede giudiziale.

La prima strada consiste nel cercare una facile e diretta risoluzione della controversia attraverso un intervento preliminare di un legale che, ovviamente, farà il possibile per dirimere la controversia attraverso una conciliazione con la società con la quale è stato sottoscritto il contratto di somministrazione di energia elettrica. Tuttavia capita non di rado che in questa sede non si trovi un’intesa per comporre bonariamente la questione. In tal caso sarà quindi necessario intraprendere la seconda strada che consiste nell’adire l’autorità giudiziaria competente.

Tale ultima possibilità è stata di recente rimarcata dall’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 21564 del 7 luglio 2022, nella quale un cliente ha convenuto in giudizio il trader e la società di distribuzione di energia elettrica, nel caso di specie Enel S.p.A. ed Enel Distribuzione S.p.A., per accertare la correttezza dell’addebito in fatturazione di un importo decuplicato rispetto alle fatture precedenti.

Dalla fase istruttoria è emerso che nell’arco temporale di riferimento, 2012-2013, la società di distribuzione aveva sostituito il contatore dell’energia elettrica in assenza del titolare del contratto e in presenza di un soggetto estraneo e non autorizzato dal consumatore a sorvegliare l’operazione. Questa circostanza, da sola, rendeva già la sostituzione del contatore illegittima.

Nondimeno la fattura sospetta era stata emessa a fronte della lettura del nuovo contatore, effettuata qualche mese prima, sul quale il fruitore già lamentava qualche disservizio. Su questo punto la Cassazione ha pertanto stabilito un fondamentale principio utile a tutti i consumatori che mensilmente si vedono recapitare bollette con importi sempre più cospicui.

Il Supremo Collegio ha precisato che in tema di contratti di somministrazione, la rilevazione dei consumi mediante contatore è assistita da una mera presunzione semplice di veridicità. Ciò comporta che, in caso di contestazione da parte dell’utente, è onere della società somministratrice di energia elettrica provare che il contatore sia perfettamente funzionante. In ipotesi negativa nulla è dovuto per le fatture ricevute. Ma, anche nel caso in cui il contatore sia regolarmente funzionante, il fruitore può essere sollevato dagli oneri pecuniari qualora dimostri che l’eccessiva onerosità dei consumi derivi da fattori a lui non imputabili, ovverosia a circostanze esterne al suo controllo, ovvero a fattori che non avrebbe potuto evitare neppure con un’attenta custodia dell’impianto.

Da quanto sopra indicato, se ne deduce che una fattura emessa sulla base della lettura rilevata da un nuovo contatore malfunzionante non può legittimamente fondare la prova del consumo di energia elettrica.

Lo Studio Legale Pasi saprà indirizzarVi in merito ad alcuni elementi fondamentali desumibili dal dettaglio delle fatture emesse a Vostro carico e sui quali, eventualmente, si potrà intraprendere una risoluzione stragiudiziale o giudiziale a seconda delle Vostre esigenze.

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La giurisprudenza, di merito e di legittimità, è costante nel ritenere che in presenza di infiltrazioni d’acqua provenienti dal lastrico solare, quand’anche questo sia di proprietà e di uso esclusivo di un solo condomino, tutti i condomini debbano partecipare alle spese di manutenzione straordinaria, seppur in misura differente.

Quanto appena affermato, in particolare, si realizza quando l’infiltrazione derivi dalla mancanza di manutenzione ordinaria del condominio e dalla vetustà degli elementi strutturali, indipendentemente dalla proprietà o dall’uso esclusivo dal bene compromesso.

La ratio di tale assunto è rintracciabile nella funzione stessa del lastrico solare che, fungendo da copertura dell’intero fabbricato, tutela tutti i condomini dello stabile; questi, consequenzialmente, saranno chiamati a partecipare alle spese poiché dalla riparazione, manutenzione o sostituzione del lastrico ne trarranno tutti un diretto vantaggio.

Segnatamente, salva la prova contraria, si può dedurre che il codice civile attribuisca un onere di custodia, ai sensi dell’articolo 2051 del codice civile, in capo al proprietario o all’usuario esclusivo del lastrico solare, e un onere di manutenzione ordinaria e straordinaria in capo al condominio.

Una recente pronuncia del Tribunale di Latina, sentenza n. 4313/2021, ribadisce che “la funzione di copertura dell’intero edificio, o di parte di esso, propria del lastrico solare […] ancorché di proprietà esclusiva o in uso esclusivo, impone all’amministratore l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni […] e all’assemblea dei condomini di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria”.

Pertanto, nel caso specifico, si deduce che la responsabilità delle infiltrazioni sia imputabile in primis al condominio che non ha attuato tempestive riparazioni e/o ricostruzioni, ed in seconda battuta al proprietario del lastrico in quanto custode: costui infatti, “governando” il bene, non ha impedito immediatamente il pregiudizio e l’aggravio successivo.

Alla luce di quanto sopra, coerentemente, il codice civile all’ art. 1126 stabilisce che ⅓ delle spese straordinarie siano attribuite in capo al proprietario, o a chi utilizza esclusivamente il lastrico solare, e ⅔ delle spese siano invece attribuite al condominio.

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Il contratto di locazione di un immobile ad uso abitativo mobiliato impone al conduttore l’onere di custodire e mantenere il bene in buone condizioni, senza specificare se con tale sintagma si intenda nelle medesime condizioni in cui è iniziato il possesso o con il normale deterioramento dettato dall’uso.

A tal proposito è venuta in soccorso la giurisprudenza con diverse pronunce, tra le quali la Suprema Corte nella Sentenza n. 29329/2019 da ultimo richiamata dal Tribunale di Milano, Sent. n. 9637/2021, stabilendo che se il locatore dovesse richiedere all’inquilino di rilasciare l’immobile nel medesimo ed esatto stato in cui si è concluso il contratto, ci si troverebbe di fronte ad un patto contrario alla legge, come stabilito dall’art. 79, della L. n. 392/1978.

A ben vedere, il deterioramento subito dall’immobile per il suo normale uso è intrinsecamente già stato accettato dal locatore; quest’ultimo, giustappunto, commisura il canone di locazione anche in previsione di tale utilizzo. Dalla pronuncia si evince che il proprietario dell’immobile si trovi già avvantaggiato dal versamento mensile del canone; pertanto imporre al conduttore di affrontare anche spese ulteriori per riportare i locali o i singoli beni allo stato originario costituirebbe un ulteriore profitto, vietato dall’art. 79 della L. n. 392 del 1978.

Più concretamente la giurisprudenza ha ritenuto nulla la clausola, seppur pattuita, che dovesse imputare al conduttore le spese per la tinteggiatura delle pareti, i forni usurati, i disassamenti delle ante dei mobili o per le macchie sui materassi.

Sebbene occorra sempre una valutazione caso per caso, anche in considerazione della durata del contratto e del tipo di qualità del materiale con cui è ornato l’immobile, la predetta responsabilità si rileva persino nel caso in cui il conduttore, all’atto della firma del contratto, abbia dichiarato di aver trovato l’unità abitativa in buono stato e adatta all’uso convenuto.

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