Con l’esperienza maturata nel corso degli anni vantiamo un’alta percentuale di recupero dei crediti sia in via stragiudiziale che coattiva.

Negli ultimi anni, complici anche le avverse condizioni economiche in concomitanza alla crisi finanziaria a livello globale e nazionale, abbiamo assistito ad un costante incremento del fenomeno legato ai mancati pagamenti. Questi comportamenti legati in particolar modo al panorama aziendale hanno ad oggetto in ambito bancario i crediti deteriorati, cd. NPLs o non performing loans.

Il nostro Studio assiste da sempre molteplici aziende e segue quotidianamente gli imprenditori nel corso della loro attività: nell’ultimo periodo i nostri clienti hanno cessato collaborazioni con le loro società di recupero crediti di riferimento e, grazie al rafforzamento costante del rapporto fiduciario, ci hanno chiesto di incrementare i nostri servizi legati alla tutela del loro patrimonio con l’affidamento e la gestione diretta delle pratiche di recupero crediti delle loro aziende. Con le nostre sedi operative sul territorio piemontese possiamo provvedere al recupero crediti a Cuneo e a Torino per conto di aziende locali che devono procedere al recupero forzoso del credito nel resto dell’Italia o per imprese che devono procedere al recupero coattivo del credito in Piemonte.

La nostra consulenza assume una rilevanza fondamentale per comprendere nell’immediato se ci si trova di fronte ad una reale situazione di criticità che può essere gestibile bonariamente con un recupero crediti stragiudiziale o, diversamente, se il debitore stia deliberatamente cercando di ritardare le scadenze dei pagamenti o evitare di onorare del tutto i propri debiti.

Nel caso in cui si ravvisino serietà e impegno da parte del soggetto debitore provvediamo a concordare dei piani di rientro efficaci e sostenibili affinché le scadenze pianificate siano rispettate, previa approfondita analisi della situazione finanziaria di controparte. Diversamente provvediamo ad istruire la pratica di recupero crediti giudiziale.

I nostri avvocati di recupero crediti possono ottenere in breve tempo molteplici informazioni particolarmente utili:

Dopo questa ricerca approfondita con la collaborazione dell’Agenzia delle Entrate operiamo con prontezza alla notifica dell’atto di pignoramento procedendo all’esecuzione forzata dei beni, mediante il recupero coattivo del credito vantato oltre ai canonici interessi di legge e le spese della procedura.

Il nostro servizio di recupero crediti, grazie all’esperienza maturata nel corso degli anni, la collaborazione con i nostri avvocati domiciliatari oltre all’utilizzo di banche dati specialistiche, vanta un alta percentuale di recupero degli insoluti.

Per maggiori informazioni prenda contatto con lo Studio.

Con l’Ordinanza del 6 Settembre 2022 n. 26164 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha definito una volta per tutte l’illegittimità delle bollette telefoniche a scadenza di 28 giorni, già in passato oggetto di provvedimenti che sono stati sempre impugnati dagli operatori telefonici: una vittoria decisiva utile a tutti i consumatori che per anni sono stati vessati da alcune Compagnie.

La Corte di Cassazione ha condannato gli operatori telefonici che imputavano agli utenti un canone fisso ogni 28 giorni anziché, più correttamente, mensilmente o bimestralmente in relazione ai contratti per le linee fisse nonché per le numerazioni mobili. Con questo escamotage le compagnie telefoniche potevano beneficiare di un rinnovo in più nel corso dell’anno e usufruire di 13 scadenze invece delle canoniche 12 annue.

A partire dal 2017, infatti, alcune compagnie telefoniche hanno apportato un aumento arbitrario di circa l’8,6% alle condizioni economiche per i contratti di telefonia, nonché una riduzione del periodo di rinnovo e/o fatturazione delle offerte, passando da una cadenza mensile a quella quadrisettimanale. In tale modo i consumatori risultavano danneggiati dall’aumento delle tariffe, non ricondotto da libere scelte imprenditoriali degli operatori di telecomunicazioni bensì da peculiari modalità della cadenza di fatturazione.

Tale approccio, oltre ad essere avulso dagli altri contesti di fatturazione tradizionalmente connotati da periodi di fatturazione ordinaria su base mensile, non risultava rispettoso della trasparenza delle condizioni economiche nei confronti degli utenti. Invero l’utente, grazie all’apparente piccolo scarto tra 28 giorni e un mese intero sottovalutava la sottile discrepanza e non coglieva fin da subito il predetto aumento. Inoltre la scelta della fatturazione a 28 giorni limitava drasticamente la possibilità di reperire offerte basate su termini temporali mensili, rendendo difficoltoso altresì l’esercizio del diritto di recesso, poiché non erano più reperibili sul mercato alternative diverse da quella così adottata.

In buona sostanza, oltre all’aumento dei prezzi delle tariffe telefoniche con modalità non trasparenti, l’aumento del corrispettivo dai canonici 12 rinnovi annui ai 13 di cui si è detto sopra, creava anche una impossibilità oggettiva di confrontare e scegliere offerte di altri operatori telefonici.

Una prima forma di tutela era stata già stata prevista con la delibera AGCOM n. 121 del 15 marzo 2017, con la quale l’Autorità aveva imposto agli operatori di telefonia di riportare la fatturazione su base mensile o suoi multipli per i servizi di telefonia fissa, tuttavia non tutti gli operatori si erano allineati a quanto stabilito in tale provvedimento.

A fronte dell’Ordinanza n. 26164/22 delle Sezioni Unite tutti gli operatori di telecomunicazioni non potranno continuare ad imporre la fatturazione per periodi quadrisettimanali ma dovranno immediatamente attenersi alla fatturazione mensile o bimestrale, senza giustificazione alcuna.

Nel caso in cui siate stati vittima di tale fatturazione scorretta lo Studio Legale Pasi potrà prestare assistenza per ottenere nel minor tempo possibile il rimborso delle somme indebitamente richieste, oltre ad un risarcimento dei danni patiti per i comportamenti sleali e poco trasparenti di alcune compagnie telefoniche.

Per maggiori informazioni prenda contatto con lo Studio.

La registrazione di un marchio di impresa assicura, a chi lo detiene, il diritto all’identità. Questo diritto all’identità consiste in un riconoscimento qualificato nei confronti del pubblico che si estrinseca in un determinato nome commerciale, oggetto del marchio, che può riguardare sia la denominazione di un’impresa sia un prodotto o un servizio, in modo tale che questi siano riconoscibili e distinguibili rispetto a quanto già presente e offerto sul mercato da altre imprese.

Le spese di registrazione variano a seconda dell’area geografica in cui viene richiesta la tutela del marchio: nel territorio italiano, all’interno di tutti gli Stati che compongono l’Unione Europea o presso singoli Stati, a prescindere che si trovino o meno all’interno dell’Unione Europea. Attraverso il procedimento di registrazione, previo pagamento delle relative tasse, l’impresa ha la possibilità di ottenere una tutela specifica e stringente da parte delle autorità preposte nei Paesi presso i quali è stata richiesta la tutela.

Lo Studio Legale Pasi offre assistenza per quanto concerne il procedimento di registrazione del marchio ma, soprattutto, altresì nelle eventuali fasi successive quali eventuali opposizioni di terzi. La nostra consulenza tuttavia non si esaurisce con le fasi direttamente dipendenti dalla registrazione.

Si segnala, infatti, l’imminente apertura di un bando sovvenzionato dalla Direzione Generale per la Tutela della Proprietà Industriale – Ufficio Italiano UIBM del Ministero dello Sviluppo Economico e gestito da Unioncamere. A partire dal 25.10.2022 sarà possibile accedere ad un fondo che ammonta ad Euro 2.000.000,00 sino ad esaurimento per due particolari categorie.

Nella prima categoria è indispensabile il deposito della domanda di registrazione presso l’EUIPO, la registrazione del marchio europeo entro il 1.06.2019 e il pagamento delle relative tasse. Per tale  tipologia di marchio è previsto un rimborso pari all’80% delle spese ammissibili e sostenute, per un importo complessivo massimo di Euro 6.000,00; in esso sono comprese le tasse di deposito, la progettazione della rappresentazione del marchio, l’assistenza legale e la ricerca di anteriorità.

Nella seconda categoria, invece, è possibile accedervi se si è depositata domanda di registrazione presso OMPI, di un marchio già registrato, o per il quale è stata depositata la domanda di registrazione, presso l’UIBM o presso l’EUIPO, oltre al pagamento delle relative tasse di registrazione. Inoltre,  anche se si è proceduto con il deposito della domanda di designazione successiva di un marchio registrato presso OMPI, oltre al pagamento delle relative tasse di registrazione. In tale categoria, è previsto un rimborso pari al 90% delle spese ammissibili e sostenute, per un importo massimo di Euro 9.000,00. Come per la categoria suddetta, sono ammesse le spese sostenute per le tasse di deposito, la progettazione della rappresentazione del marchio, l’assistenza legale e la ricerca di anteriorità.

Da ultimo si segnala che ciascuna impresa può richiedere l’agevolazione per molteplici marchi e che, pertanto, si possa presentare più di una richiesta di agevolazione, per entrambe le tipologie attualmente previste, fino a un massimo di Euro 25.000,00 per richiedente.

Dato che i fondi stanziati sono ad esaurimento è importante procedere il prima possibile a compilare la domanda, allegando correttamente tutta la documentazione richiesta. In tal caso suggeriamo di rivolgerVi per tempo a dei professionisti, come lo Studio Legale Pasi, che operano quotidianamente nel settore della proprietà intellettuale, al fine di essere coadiuvati nell’aggiudicazione di tale interessante agevolazione economica.

Per maggiori informazioni prenda contatto con lo Studio.

La recente Sentenza n. 3603/2022 del Tribunale di Roma ha trattato l’interessante quanto utile possibilità, per un condomino, di rendersi autonomo dal riscaldamento centralizzato presente nel proprio stabile. Questa ipotesi ha subìto nel corso degli anni un’evoluzione giurisprudenziale che in seguito è stata recepita a livello normativo. L’argomento è di estrema attualità a fronte degli esorbitanti aumenti delle bollette del gas degli ultimi mesi che tutti noi siamo stati costretti a fronteggiare.

Ma entriamo nel vivo della questione.

Come sopra preannunciato la Suprema Corte riteneva possibile il distacco dal riscaldamento condominiale solamente in presenza di determinate condizioni. In primis se il distacco fosse stato già previsto in un regolamento di condominio e, soprattutto, nel caso in cui la delibera di autorizzazione fosse stata adottata dai condomini all’unanimità; in secondo luogo se l’interessato avesse fornito prova di un’effettiva e proporzionale riduzione delle spese di esercizio, nonché se non fosse derivato alcuno squilibrio per l’impianto di riscaldamento centralizzato.

Recentemente si è potuta osservare un’ulteriore evoluzione giurisprudenziale, grazie all’intervento dei giudici di merito e in seguito di legittimità, i quali hanno delineato una maggiore facilità nella rinuncia unilaterale al riscaldamento condominiale. In particolare è emerso il principio secondo il quale il distaccamento sia pienamente legittimo quando il condomino dimostri che dal proprio operato non derivino né aggravi di spese per coloro che continuano a fruire dell’impianto, né squilibri termici che potrebbero arrecare pregiudizi all’erogazione del servizio in favore degli altri condomini.

Tuttavia occorre precisare che l’esercizio di tale diritto non prevede una contestuale e automatica esenzione dal pagamento delle spese condominiali inerenti al riscaldamento stesso. E’ infatti opportuno segnalare che il soggetto che si distacca dall’impianto centralizzato rimane comunque obbligato a corrispondere le spese di conservazione dell’impianto condominiale, mentre rimangono escluse le spese relative all’uso di quell’impianto poiché, concretamente, non viene da questi utilizzato.

La ratio della concessione del diritto consiste nel fatto che l’impianto di riscaldamento rientra tra i beni comuni dello stabile, pertanto segue la medesima disciplina codicistica prevista per la comunione in condominio. A fronte di tale di precisazione, pertanto, le spese di manutenzione saranno ripartite tra tutti i condomini in forza delle quote riportate nelle tabelle millesimali allegate al regolamento di condominio.

Per il medesimo motivo sono invece escluse le c.d. spese di esercizio, in quanto dipendenti da un fatto soggettivo e mutevole che ne ha escluso il consumo. Inoltre, qualora la scelta del singolo dovesse andare a discapito degli altri condomini attraverso l’eventuale aumento delle spese di gestione, se ne ricava dai principi sopra riportati che queste ultime saranno oggetto di divisione tra tutti i condomini, tenendo in considerazione la percentuale di aumento subita dagli altri condomini che hanno deciso di continuare ad utilizzare l’impianto centralizzato.

Da quanto sopra emerge quindi che il principio tutelato dai Giudici di legittimità e di merito con l’evoluzione giurisprudenziale consiste nel riconoscere una sorta di “supremazia” del benessere condominiale rispetto all’interesse del singolo che, tuttavia, non potrà essere ridimensionato totalmente.

Il distaccamento dall’impianto centralizzato sarà sempre possibile, anche se è stato espressamente vietato dal regolamento condominiale, in quanto la libertà individuale deve essere sempre tutelata, salvo che da essa non derivi un pericolo concreto per tutti gli altri condomini. In tutti gli altri casi, invece, sarà possibile distaccarsi senza alcuna autorizzazione od approvazione degli altri condomini seppur rimanga, come sopra anticipato, l’obbligo di pagamento delle spese per la conservazione e la gestione dell’impianto condominiale.

Per maggiori dettagli su questo argomento e per avere informazioni su altri diritti che è possibile esercitare all’interno del condominio, potrete contattare lo Studio Legale Pasi per richiedere una consulenza: sapremo indicare le modalità più efficaci per tutelare i Vostri diritti, e in questo caso anche i Vostri risparmi, con competenza e professionalità.

Per maggiori informazioni prenda contatto con lo Studio.

La Corte di Cassazione con l’Ordinanza del 21 luglio 2022 n. 21983 si è occupata di definire maggiormente i contorni della misura risarcitoria del Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada. Nonostante l’argomento sia già stato trattato in un altro articolo disponibile a questo link, rimangono ancora dubbi sulla posizione che il danneggiato dovrebbe assumere in tale procedimento.

Il caso trattato aveva ad oggetto il coinvolgimento di un centauro che, mentre era alla guida del suo ciclomotore, veniva investito da un’autovettura la quale, omettendo di concedergli la precedenza, urtava il suo motociclo facendolo cadere a terra. L’autore del sinistro si era immediatamente dato alla fuga, non permettendo così al danneggiato di rintracciare alcun elemento utile ad individuare il veicolo o il  suo conducente. Pur essendo un caso perfettamente calzante con la disciplina risarcitoria del Fondo Garanzie per le Vittime della Strada la richiesta è stata respinta più volte, con buon avallo delle corti giudiziarie interpellate.

In primo e in secondo grado i giudici di merito hanno riconosciuto la responsabilità della vittima del sinistro in quanto non avrebbe avuto la prontezza di reagire e prendere immediatamente nota della targa dell’autovettura, o di altri elementi identificativi del proprietario o del conducente. Inoltre è stato altresì contestato il fatto che costui non avrebbe neppure depositato una denuncia-querela contro ignoti, non apportando così un suo contributo alla risoluzione della controversia.

La Corte di Cassazione, seguendo il proprio orientamento maggioritario, ha ritenuto tuttavia che il danneggiato non sia obbligato a depositare una denuncia-querela contro ignoti oppure ad attivarsi per identificare il veicolo o il danneggiante poiché, ai fini dell’accertamento giudiziale, tali elementi sono valutati come meri indizi. Invero la vittima non deve compiere specifiche indagini come integrazione dell’elemento necessario a configurare il requisito della “impossibilità incolpevole” del danneggiato, utile ad ammettere il risarcimento del danno. In altre parole se la vittima avesse apportato al caso l’identificazione del veicolo investitore o del danneggiante, l’indagine sarebbe risultata ultronea. Sicuramente non spetta alla vittima avere la diligenza di individuare il responsabile dell’occorso e la circostanza che il sinistro stesso sia stato effettivamente provocato da un veicolo rimasto non identificato. In tali circostanze se l’atteggiamento della vittima è fonte di circostanze obiettive e non imputabili a negligenza della stessa, un eventuale rigetto automatico della domanda potrebbe derivare solo da un’adeguata valutazione del compendio probatorio.

E’ pacifico dunque che quand’anche non si riesca a rintracciare il danneggiante per una causa non imputabile al danneggiato derivante a imprudenza, negligenza o imperizia, la parte lesa può ugualmente adire il Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada per vedere riconosciuto il suo diritto al risarcimento che ha subito da un veicolo non identificato. Lo Studio Legale Pasi saprà indicarvi tempi e modalità per vedere riconosciuti i Vostri diritti e ottenere il risarcimento di un danno derivante da tali peculiari circostanze nel minor tempo possibile.

Per maggiori informazioni prenda contatto con lo Studio.

La sentenza del Tribunale di Palermo n. 2076 del 16.05.2022 ha trattato un’interessante caso di violazione dell’identità personale tramite la creazione di un profilo falso su un social network.

Con il termine identità personale si intende la rappresentazione di un individuo in relazione al contesto sociale in cui sviluppa la sua personalità; essa si correla ad un interesse del soggetto ad essere rappresentato, nella vita di relazione, con la sua vera identità, senza che venga travisato il proprio patrimonio intellettuale, ideologico, etico, religioso, professionale. L’identità digitale, diversamente, consiste nella rappresentazione di un individuo che viene identificato in colui che crea e/o usa il dataset in cui essa è memorizzata.

Chiarita la differenza tra i due tipi di identità possiamo ora trattare i punti salienti della recente pronuncia del Tribunale di Palermo che ha accertato la violazione di entrambe le due tipologie di identità nel medesimo caso.

La vicenda ha ad oggetto, nel lontano 2012, la scoperta da parte di una ragazza di un profilo Facebook astrattamente riconducibile al proprio fidanzato, recante la sua foto profilo nonché i suoi dati anagrafici personali. Tale scoperta provocò da subito tensioni e turbamenti nella coppia, tanto da far interrompere la relazione tra i due per un certo periodo di tempo. Al fine di cercare di recuperare il rapporto di coppia e allontanare da sé ogni sospetto fedifrago, il fidanzato decise di cancellare il proprio vero profilo presente sul social network e sporgere una denuncia-querela presso la Polizia Postale contro l’ignoto creatore dell’altro profilo nel quale erano presenti i suoi dati anagrafici oltre ad una sua foto.

La denuncia, tuttavia, venne archiviata.

La coppia superò i dissapori e si rinsaldò fino a quando, dopo circa tre anni dai fatti sopra riportati, emerse nuovamente che il profilo incriminato era ancora presente sul social network. Non solo, oltre alla permanenza dei dati anagrafici del ragazzo della coppia fece scalpore il fatto che la sua foto profilo era stata modificata con uno scatto più recente. Tale rinvenimento fece sollevare nuovamente i dissapori e nervosismi tra i due storici fidanzati, tanto da indurre il ragazzo a presentare un’ulteriore denuncia nel 2015.

La situazione precipitò quando, un anno dopo, questo signore venne ammonito da un collega di lavoro del fatto che da quel profilo Facebook, che continuava a recare i suoi dati anagrafici e una sua foto, provenissero insulti, ingiurie e diffamazioni verso un terzo soggetto. Quest’ultimo era molto adirato in quanto da questo falso profilo sarebbe stato ingiustamente accusato di avventure extraconiugali con un’altra donna, anch’essa vittima delle accuse di questi tradimenti. Il signore diffamato, pertanto, aveva intimato al presunto titolare del falso profilo di astenersi dal proseguire  oltre tale condotta diffamatoria al fine di non mettere a repentaglio la propria incolumità: inutile dire che ciò provocò ulteriore turbamento nella vittima.

Nel frattempo, tuttavia, le indagini che erano seguite alla seconda denuncia portarono a concentrarsi sulla comunità religiosa cui appartenevano il titolare dell’identità carpita, il signore diffamato nonché la madre di quest’ultimo. La polizia postale riuscì altresì a rintracciare l’indirizzo IP dal quale era stato creato e tramite il quale veniva utilizzato il profilo falso, in maniera tale da risalire all’utenza telefonica e al relativo intestatario, in quel caso una società. Le indagini portarono quindi a verificare eventuali collegamenti tra i membri della comunità religiosa e i dipendenti della società utilizzatrice dell’indirizzo IP che era emerso dalle indagini.

Tra i sospettati spiccò un donna, nuova amministratore di quella società, membro della Chiesa Evangelica, nonché ex-fidanzata del soggetto diffamato. Una volta interrogata la donna confessò di aver creato quel falso profilo per tentare di recuperare il rapporto con l’ex-fidanzato, il soggetto diffamato, nonché tra l’altro per ferire la di lui madre.

Alla donna venne quindi ascritto il reato di cui all’art. 167 D.Lgs. n. 196 del 2003, rubricato trattamento illecito di dati, perché al fine di trarne per sé o per altri profitto, aveva creato un profilo falso utilizzando i dati anagrafici e le immagini raffiguranti un altro soggetto senza aver ricevuto  da questi alcun consenso, abusando così del trattamento dei suoi dati personali. La donna fu altresì condannata al risarcimento dei danni, la cui quantificazione fu commisurata sulla base della diffusione del falso profilo, della posizione sociale del danneggiato, della rilevanza delle offese allo stesso attribuite, nonché dallo stato d’animo conseguente alle vicende sopra descritte.

Lo Studio Legale Pasi suggerisce di non sottovalutare mai queste situazioni in quanto non sempre è agevole risalire all’autore di queste condotte. E’ necessario procedere nel minor tempo possibile, facendosi assistere da personale competente in materia e utilizzando gli strumenti che sono messi a disposizione dal nostro ordinamento, in maniera tale da agevolare l’attività di indagine ed evitare potenziali ulteriori pregiudizi.

Per maggiori informazioni prenda contatto con lo Studio.

Con l’intento di acquistare un bene immobile quasi sicuramente uno dei primi luoghi in cui ci recheremo è un’agenzia immobiliare. L’agente immobiliare è quella figura di intermediazione che pone in collegamento l’offerta e la domanda del mercato immobiliare, ovverosia il proprietario del bene da una parte e l’acquirente o il locatore dall’altra.

Solitamente l’agente immobiliare accompagna durante tutto il procedimento di compravendita le due parti interessate e i suoi compiti sono i più disparati: dalla pubblicizzazione degli annunci, alla consulenza e al rilascio di informazioni inerenti al bene, sino alla proposta di acquisto.

Tuttavia, per molteplici cause, non sempre è possibile perfezionare un contratto preliminare o un atto di compravendita; in questi casi possono nascere eventuali problematiche con il mediatore. Egli, infatti, potrebbe richiedere ugualmente un compenso, consistente nella provvigione per le attività svolte.

Ma il mediatore ha davvero diritto a veder riconosciuta questa eventuale richiesta?

La giurisprudenza, da diversi anni, è ormai costante nel ritenere che il mediatore abbia diritto alla provvigione allorché la conclusione dell’affare abbia avuto luogo per effetto dell’intervento del mediatore stesso, ancorché questi non abbia partecipato a tutte le fasi della trattativa e cioè, come detto, quando la conclusione dell’affare possa comunque ricollegarsi al c.d. “rapporto di causalità” all’attività mediatrice.

Definire quando questo rapporto di causalità si verifichi può far sorgere ulteriori perplessità.

Generalmente si intende che l’intervento debba essere efficace nel favorire la conclusione dell’affare; in altre parole, è sufficiente che il mediatore abbia creato un punto di contatto tra l’offerta e la domanda, ovverosia che abbia messo in relazione parte venditrice con parte acquirente, al di là del buon esito delle trattative. Lo stesso principio si dovrà applicare anche nel caso in cui per uno stesso affare abbiano partecipati più mediatori. In caso di dubbi o contrasti, ovviamente, resterà salva l’ipotesi di rivolgersi all’autorità giudiziaria che valuterà, caso per caso, se e a chi spetti l’eventuale provvigione, anche in virtù dell’attività effettivamente prestata.

Ad ogni modo i punti controversi non si esauriscono con quanto sopra riportato. Potrebbero nascere, infatti, ulteriori problematiche in relazione al corretto adempimento degli obblighi professionali da parte del mediatore quali, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, quelli informativi sulla valutazione dell’immobile, sulla sicurezza dell’affare ovvero ancora derivanti dall’iscrizione nei registri o repertori preposti.

Lo Studio Legale Pasi è disponibile offrire una consulenza su questi e altri aspetti rilevanti onde evitare di vedere compromesso l’acquisto dell’immobile, da una parte, o il diritto alla provvigione, dall’altra.

Per maggiori informazioni prenda contatto con lo Studio.

Il Tribunale di Firenze con la Sentenza del 24.05.2022 è tornato a parlare del c.d. smishing, ovverosia una truffa con cui terzi malintenzionati, sfruttando una falla del sistema informatico bancario, riescono ad appropriarsi delle credenziali di accesso del servizio di home banking dei clienti e disporre dei relativi fondi.

Nel caso esaminato, una cliente di un Istituto di credito aveva ricevuto un messaggio WhatsApp recante il logo della Banca, nel quale era stato richiesto di fornire le credenziali di accesso all’home banking per consentire un aggiornamento dell’applicazione mobile. Il contenuto del messaggio era stato inoltre confermato telefonicamente da un presunto dipendente della Banca. La Signora, convinta ingenuamente della provenienza ufficiale della richiesta, aveva così scaricato l’applicazione indicata nel messaggio ricevuto e, tramite l’accesso ad un link dell’applicazione, aveva altresì inserito i dati di accesso al proprio conto corrente. In quel modo i truffatori erano riusciti ed entrare in possesso delle credenziali e, contestualmente, effettuare la sottoscrizione di un nuovo contratto con il quale generare i codici OTP utili alla disposizione delle operazioni. Da quel momento, pertanto, le operazioni sarebbero state confermate virtualmente attraverso l’app mobile in possesso dei truffatori e non più mediante il token generato dalla chiavetta hardware ancora in possesso della cliente.

Ma vi è di più.

Il giorno successivo il cellulare della cliente ha cessato immediatamente di funzionare in conseguenza dell’avvenuta truffa. I malintenzionati, infatti, tramite un’operazione di SIM Swap, erano riusciti ad impossessarsi del numero di telefono della cliente. Tale operazione viene abitualmente richiesta dagli utenti di telefonia mobile quando si intende cambiare la propria SIM mantenendo lo stesso numero: la ragione più frequente consiste in un semplice cambio di formato di scheda in quanto non tutti i telefoni supportano la stessa dimensione delle schede SIM. Tramite le due operazioni combinate di smishing e SIM Swap, pertanto, i truffatori non solo erano riusciti a farsi consegnare dalla signora le credenziali per accedere all’home banking ma avevano altresì la possibilità di generare OTP virtuali nonché di ricevere i codici OTS dalla banca, indirizzati sul numero della cliente che ormai era stato trasferito su una SIM in loro possesso. Non è stato difficile, pertanto, in primo luogo alzare i massimali delle operazioni nonché, in seguito, effettuare molteplici bonifici senza la necessità di altre azioni da parte della danneggiata e soprattutto a sua totale insaputa.

Da tale quadro è emersa astrattamente una falla di sicurezza nel sistema bancario. Invero per il trasferimento del numero cellulare dalla SIM della signora ad un’altra in possesso dei truffatori, era stato sufficiente che un operatore in un centro autorizzato, distratto o connivente, avesse fatto lo swap della SIM in tempo reale, senza ulteriori controlli o interventi diretti dell’utente.

Tuttavia tale operazione non è sufficiente a costituire un presupposto di responsabilità da parte della Banca utile al risarcimento dei danni patiti dalla cliente. A tal proposito occorre analizzare diversi fattori

L’Istituto di credito, per aumentare la sicurezza per l’accesso alla propria piattaforma di home banking, richiedeva ai propri clienti una doppia autenticazione: l’identità dell’utente mediante una combinazione di credenziali, UserID e PIN, nonché un codice OTP inviato tramite messaggio SMS al numero di cellulare indicato in sede di sottoscrizione del contratto. Inoltre la Banca aveva assunto ogni opportuna misura di sicurezza per contrastare il fenomeno delle truffe online e i rischi di phishing/smishing, attraverso una costante e massiccia informativa della clientela, sia all’interno dei contratti sia sul proprio sito internet, ricordando di seguire sempre le indicazioni ufficiali fornite dall’Istituto e di diffidare di richieste sospette. Tutte queste informative, tra l’altro previste e imposte dalla normativa europea, hanno consentito alla Banca di rimanere esente da ogni responsabilità nonostante il perfezionamento della truffa.

A ben vedere, infatti, la truffa si è realizzata in quanto tutte le operazioni sopra descritte erano state autenticate e confermate correttamente grazie al corretto inserimento di tutte le credenziali e dei codici di verifica di tipo Otp e Ots in uso alla cliente: per questo motivo il sistema non era stato in grado di rilevare la fraudolenza dell’operazione e non ha bloccato alcun accesso. Nel caso di specie la condotta illecita è stata ricondotta ad esclusiva colpa della cliente, la quale ha attuato una serie di operazioni prodromiche e necessarie alla realizzazione della truffa. Invero, nonostante la ricezione di molteplici avvisi, ammonimenti e comunicazioni da parte della Banca finalizzati ad evitare che i clienti comunicassero a terzi i propri dati d’accesso, la vittima in questione aveva inserito le proprie credenziali all’interno di un’applicazione estranea alla Banca, consegnandole di fatto agli autori dell’operazione fraudolenta. Infatti, nel caso di specie, il solo furto della SIM non sarebbe stato da solo sufficiente a perfezionare la truffa.

In caso di malfunzionamenti anomali da parte dell’app del proprio Istituto di credito, nelle operazioni telematiche, oppure in caso di richieste telefoniche o tramite messaggi finalizzate a consegnare le proprie credenziali è necessario prendere immediatamente contatto con la propria Banca per le opportune segnalazioni. In seguito è sicuramente raccomandabile presentare una denuncia all’autorità giudiziaria al fine di accertare eventuali responsabilità penali.

Lo Studio Legale Pasi ha assistito molteplici vittime di truffe di questo genere e saprà suggerire la soluzione più rapida e maggiormente calzante per limitare l’insorgere di danni e salvaguardare i propri risparmi.

Per maggiori informazioni prenda contatto con lo Studio.

Nel caso in cui doveste ricevere fatture di energia elettrica con un importo sospetto, eccessivamente elevato e non dovuto solamente agli aumenti che stanno interessando questo periodo, c’è la possibilità di intraprendere diversi rimedi, sia in sede stragiudiziale sia in sede giudiziale.

La prima strada consiste nel cercare una facile e diretta risoluzione della controversia attraverso un intervento preliminare di un legale che, ovviamente, farà il possibile per dirimere la controversia attraverso una conciliazione con la società con la quale è stato sottoscritto il contratto di somministrazione di energia elettrica. Tuttavia capita non di rado che in questa sede non si trovi un’intesa per comporre bonariamente la questione. In tal caso sarà quindi necessario intraprendere la seconda strada che consiste nell’adire l’autorità giudiziaria competente.

Tale ultima possibilità è stata di recente rimarcata dall’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 21564 del 7 luglio 2022, nella quale un cliente ha convenuto in giudizio il trader e la società di distribuzione di energia elettrica, nel caso di specie Enel S.p.A. ed Enel Distribuzione S.p.A., per accertare la correttezza dell’addebito in fatturazione di un importo decuplicato rispetto alle fatture precedenti.

Dalla fase istruttoria è emerso che nell’arco temporale di riferimento, 2012-2013, la società di distribuzione aveva sostituito il contatore dell’energia elettrica in assenza del titolare del contratto e in presenza di un soggetto estraneo e non autorizzato dal consumatore a sorvegliare l’operazione. Questa circostanza, da sola, rendeva già la sostituzione del contatore illegittima.

Nondimeno la fattura sospetta era stata emessa a fronte della lettura del nuovo contatore, effettuata qualche mese prima, sul quale il fruitore già lamentava qualche disservizio. Su questo punto la Cassazione ha pertanto stabilito un fondamentale principio utile a tutti i consumatori che mensilmente si vedono recapitare bollette con importi sempre più cospicui.

Il Supremo Collegio ha precisato che in tema di contratti di somministrazione, la rilevazione dei consumi mediante contatore è assistita da una mera presunzione semplice di veridicità. Ciò comporta che, in caso di contestazione da parte dell’utente, è onere della società somministratrice di energia elettrica provare che il contatore sia perfettamente funzionante. In ipotesi negativa nulla è dovuto per le fatture ricevute. Ma, anche nel caso in cui il contatore sia regolarmente funzionante, il fruitore può essere sollevato dagli oneri pecuniari qualora dimostri che l’eccessiva onerosità dei consumi derivi da fattori a lui non imputabili, ovverosia a circostanze esterne al suo controllo, ovvero a fattori che non avrebbe potuto evitare neppure con un’attenta custodia dell’impianto.

Da quanto sopra indicato, se ne deduce che una fattura emessa sulla base della lettura rilevata da un nuovo contatore malfunzionante non può legittimamente fondare la prova del consumo di energia elettrica.

Lo Studio Legale Pasi saprà indirizzarVi in merito ad alcuni elementi fondamentali desumibili dal dettaglio delle fatture emesse a Vostro carico e sui quali, eventualmente, si potrà intraprendere una risoluzione stragiudiziale o giudiziale a seconda delle Vostre esigenze.

Per maggiori informazioni prenda contatto con lo Studio.

Un marchio di fatto d’impresa, a prescindere dalla sua corretta registrazione presso le istituzioni preposte, in presenza di determinate condizioni ha la possibilità di ricevere tutela da parte del nostro ordinamento. Questo è il principio che è stato ripreso e sancito dalla Sentenza n. 463 emessa dal Tribunale di Ancona lo scorso 1.04.2022, che ha trattato una disputa sulla contraffazione di un marchio di impresa già precedentemente in uso ma registrato in seguito da un’altra società.

Come è noto, il marchio d’impresa registrato riceve espressa tutela dall’ordinamento al fine di evitare che i consumatori possano essere tratti in inganno o comunque che si possa generare in loro confusione in relazione a prodotti presenti in commercio. Per tale motivo, i giudici di merito hanno ritenuto doveroso ribadire la presenza della tutela anche al mero preuso dei segni identificativi, al verificarsi di determinate condizioni.

In particolare è stato stabilito che se dall’uso non discende una notorietà ad ampio spettro, quale ad esempio una notorietà prettamente locale, il marchio può essere registrato da una seconda impresa in quanto il preuso non preclude la caratteristica della novità al segno. L’impresa che registra il marchio già usato in precedenza da un’altra impresa acquisisce ovviamente tutti i diritti all’uso e allo sfruttamento del marchio, anche ai fini della pubblicità. L’impresa che utilizzava quel medesimo segno ancora prima della registrazione potrà comunque continuare a farne uso. Tuttavia, per non incorrere in alcuna violazione, dovrà limitare l’uso alle medesime condizioni operate fino a quel momento, quale ad esempio la portata prettamente locale circoscritta a quella determinata area geografica.

Qualora il preuso di un marchio di fatto comporti diversamente una notorietà nazionale, discenderà un diritto all’uso esclusivo del segno distintivo in capo al preutente: in tal caso, qualora un’altra impresa dovesse registrare quel determinato marchio, la domanda di registrazione sarà invalidata in quanto carente del carattere di novità del segno distintivo.

Più concretamente il preuso nazionale di un marchio di fatto comporta che il pre-utente, avendo diritto all’uso esclusivo del segno, abbia il potere di avvalersene e sia così distinto da ogni successiva registrazione corrispondente alla denominazione o al simbolo grafico precedentemente utilizzato. Il pre-utente potrà altresì ottenere la dichiarazione di nullità di tale registrazione, anche per decettività, in rapporto a segni confliggenti.

Diversamente, il preuso locale di un marchio non registrato conferisce al titolare del segno il diritto di continuare ad utilizzare il segno esclusivamente per lo stesso genere di prodotto e limitatamente all’ambito dell’uso fatto fino a quel momento, senza consentire che il preutente abbia il diritto di vietare a chi registra in seguito quel marchio di farne uso nella medesima zona di diffusione locale. In tale ultimo caso viene quindi a configurarsi una sorta di regime di “duopolio” nell’ambito locale poiché vi sarà una coesistenza del marchio precedentemente usato dalla prima impresa e di quello successivamente registrato da una seconda impresa.

Le condizioni sopra descritte sono ampie e generali ma occorre esaminare caso per caso la presenza dei requisiti necessari ad instaurare un contenzioso avente ad oggetto un atto di concorrenza sleale, la proibizione all’uso del marchio, nonché per il risarcimento del danno arrecato per l’uso o la registrazione del marchio di impresa. Prima della registrazione di un marchio o nel caso in cui si ritenga di aver subito un danno a seguito della registrazione da parte di un’impresa concorrente, lo Studio Legale Pasi potrà analizzare la situazione e indicare la soluzione corretta.

Per maggiori informazioni prenda contatto con lo Studio.